Nonno Pier Giorgio è l’asso nella manica del Torreselle

PIOMBINO DESE. «Ogni anno dici: basta, smetto. Svuoti la borsa dopo l’ultimo allenamento, metti le scarpe in soffitta e giuri di non tirarle più fuori. Poi arriva il giorno del raduno e non ce la fai a stare a casa: così ritiri tutto fuori e ti lanci nell’ennesima nuova avventura. E presto ti accorgi che anche se sei il più vecchio hai ancora qualche cartuccia da sparare».
In Prima categoria è stata una domenica speciale per Pier Giorgio Vallotto, il capitano del Torreselle che a quarant’anni suonati ha risolto con un gol la sfida con il Salvatronda regalando ai compagni il secondo posto del girone F. «E pensare che in spogliatoio mi chiamano vecchio e a maggio divento pure nonno – se la ride Pier Giorgio, che vive a Torreselle e dirige col fratello la “Saint Pierre” di Piombino Dese, ditta che produce finiture per interni – Il calcio ti fa conoscere tante persone e ti insegna a rispettare le regole di un gruppo. Impari valori come umiltà, impegno e sacrificio, ingredienti fondamentali per vincere e farsi voler bene».
La storia sportiva di Pier Giorgio inizia da lontano, dai primi calci al pallone con la Piombinese fino al passaggio al Giorgione e al sogno solo accarezzato di andare al Parma. «Era praticamente fatta ma per un infortunio è saltato tutto. Così sono tornato alla Piombinese e ho vinto il campionato di Prima categoria, titolo veneto, Trofeo Regione e Coppa Italia».
Subito dopo altro tris di successi al Massanzago e da lì le esaltanti avventure con il Noventa e con l’Albignasego «dei record» salito dalla Prima alla serie D dopo una cavalcata che ha fatto storia. «Dopo aver vinto campionato e coppa al Loreggia, nel 2010 mi sono rotto tibia e perone. Ma non volevo mollare e sono ripartito da zero col Torreselle, centrando subito la promozione in Prima». Ora la frazione di Piombino sogna in grande.
«Mister Milanesi è bravissimo coi giovani, abbiamo un gruppo unito e la società ci fa lavorare bene. Qui è pieno di persone speciali: dai custodi del campo alle ragazze del bar Alice e Beatrice, dal direttore sportivo Cagnin al presidente Salvadori».
Però se a quarant’anni sei ancora lì a rincorrere un pallone il merito è pure di alcuni angeli custodi. «Mia moglie Marisa e le mie figlie Beatrice e Gloria. Mi hanno sempre aiutato, sopportandomi anche nei momenti più difficili e spronandomi a fare meglio ».
Matteo Lunardi
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