Pantani, l’uomo che arrivò sulle nuvole in bici

Il 5 giugno 1999 il Pirata fu cacciato dal Giro d’Italia per valori proibiti nel sangue. Quel giorno cominciò la sua fine
Una foto d'archivio di Marco Pantani vincitore del Tour de France 1998..ANSA/JOEL SAGET
Una foto d'archivio di Marco Pantani vincitore del Tour de France 1998..ANSA/JOEL SAGET

antonio simeoli

Ventisette luglio 1998, più o meno le quattro del pomeriggio. Sul Galibier, salita mito del Tour de France piove. A dirotto. Dalla sbarra, d’inverno abbassata per i metri di neve e che per i ciclisti, dopo l’ultimo pianoro, segna con la curva a destra l’inizio della salita terribile, sono oramai passati oltre cinque chilometri.

A quattro e mezzo dai 2.646 metri della cima Marco Pantani butta via la bandana e attacca. Fa il vuoto in un amen. Gli uomini della maglia gialla Jan Ullrich, che fin lì pareva inattaccabile – su tutti quel Bjarne Riis che due anni prima aveva vinto la Grande Boucle con il sangue pieno di eritropoietina – non possono fare niente.

Il direttore sportivo Orlando Maini in quota porge una mantellina al fuggitivo. Un brivido scorre sugli spettatori incollati alla tv. Pantani è fermo. Niente paura, si è fermato per coprirsi dal freddo. Si lancia verso il Lautaret, poi “spiana” la salita delle Deux Alpes.

IL COMPLEANNO

Oggi Marco Pantani avrebbe compiuto 50 anni.

A tutti manca da quel maledetto sabato 14 febbraio 2004 e, prima, da quell’ancora più maledetto, per tutto il mondo del ciclismo e lo sport in genere, 5 giugno 1999, quando il Pirata fu cacciato dal Giro d’Italia per quei valori proibiti di ematocrito nel sangue che avevano superato il limite consentito del 50 per cento.

Una vera e propria manifestazione ipocrita di impotenza contro il doping dilagante. Lì iniziò la sua fine.

«Lo chiamavo il Fossile, o Pantadattilo. Un cardellino di 56 chili in mezzo alle aquile, che portava fieramente pizzetto e baffi, non diversamente dai primi ciclisti dei tempi eroici alla Petit-Breton.

Rispetto al suo microcosmo, era un alieno. Nel parlare e nella pedalata. Se lo osservi, manifesta un’inesausta stanchezza. Una sofferenza nutrita da pochi sorrisi e nessuna ombra di felicità, neanche sul traguardo»: così ha scritto sullo scalatore di Cesenatico il Grande Gianni Mura.

L’IMPRESA PIU’ BELLA

Nella sua breve carriera, costellata da infinite cadute, incidenti, e anche ombre, questa è la sua impresa più bella. E non furono solo migliaia le persone in Italia incollate davanti alla tv, ma quasi cinque milioni. Un televisore su due quel giorno fu acceso sulla telecronaca di Adriano De Zan nel Paese di Coppi, Bartali, Gimondi, Moser e Saronni, Bugno e Chiappucci .

Marco rapiva, ipnotizzava, esaltava, emozionava. «Ecco, scatta Pantani», disse De Zan. Ad ascoltarlo una nazione.

Come sarebbe stato il ciclismo in questi anni con lui? Meraviglioso, carico di molte altre imprese, anche di ombre.

Auguri Pirata. Sulle nuvole ci arrivasti in bici già quel giorno sul Galibier. —





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