Da Cittadella alla prima panca in A: l’epica rimonta di coach Gigi Brotto

Basket, il personaggio della settimana è certamente il tecnico originario dell’Alta padovana: sua la straordinaria vittoria della Vanoli contro la capolista Trento. Il 54enne era al debutto su una panchina del massimo campionato italiano

Nicola Cesaro
Pierluigi Brotto in un timeout della Vanoli Cremona
Pierluigi Brotto in un timeout della Vanoli Cremona

Il sogno di ogni giocatore al debutto? Segnare il tiro della vittoria allo scadere dopo una grande rimonta. Il sogno di un coach alla prima panca? Beh, cominciare con una vittoria è già buona cosa.

Ecco, Pierluigi “Gigi” Brotto – il nuovo tecnico della Vanoli Cremona, dopo che la società ha sollevato Demis Cavina – ha messo insieme i copioni e ha inscenato il migliore dei film: debutto da head coach in serie A, folle recupero dal –19 contro la capolista Trento, vittoria di misura con il +4 segnato a dieci secondi dal termine. Inevitabile: Brotto è l’uomo copertina della settimana per il basket italiano.

Orgoglio lombardo sì, ma anche un po’ orgoglio nostrano visto che il coach di 54 anni è di Cittadella e ha ampi trascorsi sportivi in Veneto, e non solo in panchina: guardia di 1,85, ha vestito anche la maglia della Benetton Treviso e della Floor Padova.

Un debutto così era davvero difficile anche solo da immaginare.

«A guardarla da fuori potrebbe sembrare la sceneggiatura di un film. Inutile nasconderlo, è stato emozionante ma d’altra parte è quello che capita quando emerge tutta la forza di un gruppo…».

Vero, ma –19 è pur sempre –19: qualcuno, ironicamente, ha scritto che «già sentiva il dolce profumo dell’estrema unzione».

«Il passivo era effettivamente notevole e ce la stavamo vedendo brutta, ma va anche detto che a Trento era entrato qualche tiro estemporaneo e noi ci eravamo letteralmente bloccati. Tolti questi due fattori, per quanto si fosse messa male, una possibilità c’era e l’abbiamo colta».

Cosa si dice a una squadra sotto di 19 per provare e a fare l’impresa?

«Nella partita con Trento qualcosa di particolare ho detto e fatto, ma vorrei non svelarlo. Diciamo che me lo tengo per la prossima volta, qualora ce ne fosse bisogno».

La scelta su di lei per la panchina di Cremona, debuttante in A, non era scontata.

«Non è mai automatica la promozione di un vice. Non mi è stata data una spiegazione formale, ma immagino servisse una figura che conosce l’ambiente e che avesse già un contatto con i giocatori. Raccolgo quanto di buono fatto da Cavina e cerco di capire in cosa migliorare».

 

D’altra parte a Cremona lei è una certezza: prima giocatore e poi assistente per i tecnici Cioppi, Mahoric e Caja, quindi la parentesi Salsomaggiore-Fiorenzuola-Ju.Vi Ferraroni, e ancora ecco il ritorno e i quattro anni e mezzo accanto a Galbiati e Cavina. Dalla serie D alla A, Brotto c’era. Lei nasce cestisticamente in Veneto, però.

«Ho fatto le giovanili a Cittadella, fino ai Cadetti. Ho giocato la mia prima partita in serie C, contro Petrarca o Virtus, non ricordo bene. In terza superiore sono passato alla Benetton Treviso e lì ho debuttato nel massimo campionato nel 1990-91».

Aveva dei compagni di un certo prestigio…

«Coach era Petar Skansi, capitano Massimo Iacopini, e poi era l’anno di Vinny Del Negro e Renato Villalta, solo per citarne alcuni. Gente che se non ti impegnavi ti distruggeva, letteralmente. Allo stesso tempo, e fortunatamente ero tra questi, se eri uno che lavorava duro, tra un cazzotto e l’altro erano pronti a insegnarti e ad aiutarti. Però sì, sono sincero: ho preso tante botte là sotto canestro».

La più grande soddisfazione e il maggior rammarico della sua carriera?

«Ho avuto la fortuna di vincere molti campionati, ma la promozione a Livorno è stata quella che ricordo con più affetto. I rammarichi sono tutti targati Treviso: la finale Juniores persa contro la Fortitudo Bologna e poi quella partenza appena prima dell’arrivo di Toni Kukoc. Avrei potuto vantare uno scudetto cucito sul petto, e poco importa se lo avessi guadagnato scaldando la panchina. Sarei inoltre potuto ritornare con l’arrivo di Mike D’Antoni, ma anche lì le sliding doors hanno voluto altro».

C’è un collega a cui guarda come punto di riferimento?

«Potrei elencare nomi di tecnici noti, ne ho avuti moltissimi. Ma dico Fabio Volpato (recentemente all’Ubp Padova, ndr), tecnico tutto veneto, per la capacità di impostare una squadra e di leggere le situazioni».

Un’ultima annotazione. I post su di lei, nelle ultime ore, si sono sprecati incoronandola anche come il “belloccio” del basket italiano. Fastidio o “prendi e porta a casa”?

«Ma no, come può darmi fastidio un complimento? Leggo sempre con grande simpatia chi nello sport sa mettere anche qualche dose di ironia: sono stato il primo a stare al gioco. Dirò di più, questo boom di popolarità mi ha fatto arrivare messaggi di complimenti da parte di ex colleghi da oltreoceano. Me la sto godendo tutta».

Cremona si salva?

«Speriamo sia l’inizio di un percorso che ci porta a questo. Una salvezza, quest’anno, varrebbe come uno scudetto. Anzi, una Eurolega. Mai come oggi il campionato italiano, in epoca recente, ha avuto un tasso tecnico così alto e con così tante pretendenti per i posti alti della classifica. Non ci sono più solo Milano e Bologna e ogni partita è un’impresa».

Domenica, intanto, il coach del momento e la sua Cremona ospiteranno la Reyer Venezia per un “derby” tutto veneto. —

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