Scarfiotti, l’ultimo vincitore italiano sulla pista di casa

Un triste record purtroppo destinato ad allungarsi Da allora solo podi o vittorie di driver solo con origini nostrane
Di Mauro Corno

di Mauro Corno

Mezzo secolo. Cinquant’anni. In qualsiasi modo lo si voglia scrivere la sostanza non cambia. E, va ammesso, un po’ fa impressione. È dal 1966 che un pilota italiano non vince il Gran premio d’Italia di Formula 1. A Monza, che dal 1922, tranne rarissime eccezioni (Livorno nel 1937, Milano nel 1947, Torino nel 1948 e Imola nel 1980) ospita la gara tricolore (e chissà se lo farà anche nel 2017), fu Ludovico Scarfiotti a trionfare. Era il 4 di settembre. Dettaglio non di poco conto: il pilota nato a Torino e cresciuto a Potenza Picena (Macerata) lo fece al volante di una Ferrari, la 312. Alle sue spalle un altro alfiere della Casa di Maranello, l’inglese Mike Parkes, che, partito dalla pole-position, venne sorpassato dal compagno di squadra dopo una manciata di giri e mantenne la seconda posizione fino alla bandiera a scacchi. Erano 14 anni – e basta leggere i quotidiani dell’epoca per capire che sembrasse un’eternità – che un italiano non tagliava per primo il traguardo in Brianza: l’ultimo a riuscirvi, nel 1952, fu l’immenso Alberto Ascari, campione del mondo in quell’anno e in quello successivo.

Dal 1966 a oggi (e di sicuro nulla cambierà domenica prossima: non ci sarà neanche un italiano al via) ci siamo dovuti accontentare di applaudire gli stranieri. O, nella migliore delle ipotesi, piloti con un po’ di sangue italiano nelle vene ma con un passaporto ben differente. Nel 1970 e nel 1975, sempre su Ferrari, è arrivato primo Gianclaudio Clay Regazzoni, nato a Lugano, a due passi dal confine, ma svizzero a tutti gli effetti: il casco con la croce bianca su campo rosso in bella evidenza non lasciava dubbi di sorta.

Nel 1972 su Lotus la spuntò Emerson Fittipaldi, il cui cognome tradisce origini lucane. Nel 1977, sempre al volante di una Lotus, toccò a Mario Andretti: Piedone è nato nel 1940 a Montona, località istriana che sette anni più tardi venne ceduta alla Jugoslavia, e nel 1955 si trasferì negli Stati Uniti e più precisamente in Pennsylvania. Nel 2002 e nel 2004 su Ferrari e nel 2009 con la Brawn il più bravo di tutti fu Rubens Barrichello, brasiliano di San Paolo con bisnonni di Castello di Godego, provincia di Treviso.

Negli anni Ottanta il successo fu a portata di mano di un italiano per tre volte. Nel 1984 sul gradino più alto del podio salì Niki Lauda, che precedette Michele Alboreto (Ferrari) e Riccardo Patrese (Alfa Romeo). Nel 1986 Teo Fabi si costruì la grande occasione con la Benetton, con cui conquistò la pole position: purtroppo, però, nel giro di ricognizione fu tradito dalla centralina elettronica e scivolò in fondo alla griglia. Il Gp d’Italia del 1988 regalò un colpo di scena dopo l’altro. Ayrton Senna, che lo stava stravincendo, a due giri dal traguardo si fece buttare fuori dal doppiato francese Jean-Louis Schlesser, che era un pilota esperto ma all’esordio in una gara di Formula 1 (Frank Williams lo aveva chiamato per sostituire Nigel Mansell, colpito dalla varicella). Arrivò una doppietta Ferrari, a neanche un mese dalla morte del patron Enzo, avvenuta il 14 agosto. Primo Gerhard Berger, austriaco, che ovviamente si guardò bene dal lasciare spazio a Michele Alboreto, giunto a ruota.

E come dimenticare il 1992, con Riccardo Patrese costretto a rallentare per un problema idraulico a quattro giri dal traguardo, quando era in testa. Quel giorno gli italiani al via erano addirittura otto: insieme con il padovano della Williams c’erano Ivan Capelli (Ferrari), Gianni Morbidelli (Minardi), Michele Alboreto (Footwork), Gabriele Tarquini (Fondmetal), Andrea De Cesaris (Tyrrell), Pierluigi Martini (Scuderia Italia) ed Emanuele Naspetti (March).

L’ultimo podio italiano a Monza porta la firma di Giancarlo Fisichella, terzo su Renault nel 2005 alle spalle di Juan Pablo Montoya (McLaren) e di Fernando Alonso, sempre su Renault: tre piloti che, sia pure in maniera diversa, hanno scritto la storia della Formula 1.

Così come Ludovico Scarfiotti. Nacque il 18 ottobre del 1933. Il nonno, suo omonimo, nel 1899 fu uno dei fondatori della Fiat, e ne divenne presidente del primo consiglio di amministrazione, accanto a Giovanni Agnelli, con cui era imparentato, e Roberto Biscaretti, tra gli altri. Trasferitosi con la famiglia nelle Marche iniziò ben presto a cimentarsi con le quattro ruote, mostrando grandissimo talento nelle cronoscalate (vinse due Campionati europei della montagna con la Ferrari ed era considerato un fuoriclasse assoluto nella specialità) e nel campionato mondiale Sport Prototipi (si affermò nella 24 Ore di Le Mans, nella 12 Ore di Sebring, nella 1000 km del Nürburgring e nella 1000 km di Monza). Il suo anno magico fu il 1966, quello tragico il 1968. Lasciata la Ferrari decidette di dedicarsi esclusivamente alla Formula 1, con la Eagle prima e con la Cooper poi. Ma aveva anche un accordo con la Porsche per partecipare al Campionato europeo della montagna ed era una persona di parola, non a caso era da tutti reputato un pilota-gentleman vero e proprio. L’8 giugno, nei pressi di Berchtesgaden, in Baviera, al volante della sua “910” stava provando il percorso del “Premio delle Alpi”, quando uscì di strada, tra l’altro in uno dei punti meno pericolosi del tracciato.

Sbalzato dall’abitacolo, finì contro alcune piante riportando ferite alla testa che gli furono fatali. Non ci fu alcun testimone, ma dai segni degli pneumatici sull’asfalto si ricostruì che viaggiava a 130-140 chilometri all’ora e che aveva frenato a una sessantina di metri dalla curva, anziché scalare la marcia come sarebbe stato logico: un comportamento inspiegabile per un pilota bravo ed esperto come lui. Si scoprì che, qualche giorno prima, confidandosi amichevolmente con un giornalista, Scarfiotti si era lamentato, parlando esplicitamente di difetti allo sterzo della sua vettura. In Germania si aprì un’inchiesta, che però, come era del resto prevedibile, venne chiusa in fretta e furia: la macchina, fece sapere la magistratura tedesca, non aveva alcun guasto. E ancora oggi, a 48 anni dalla tragica scomparsa dell’ultimo trionfatore italiano al Gran premio d’Italia di Formula 1, i dubbi su quanto sia veramente successo in quella mattinata di giugno rimangono.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova