«Sic davanti a tutti Ma Pantani è il mio grande rammarico»

VILLORBA. Mentre il mondiale MotoGp, in omaggio al petrolio e ai suoi derivati (i soldi) correva in Qatar, lui era al tennis club di Villorba. E oggi è a Scorzè (teatro Elios ore 20.30) per presentare il suo libro su “Sic”. Come, il Dottor Costa non è più nella sua clinica mobile accanto ai centauri della Motogp? Vuoi vedere che parlava sul serio quando, in un momento difficile, disse che le strade del mondiale moto e le sue non si sarebbero più sovrapposte. Non avete notato? Abbiamo scritto Dottor Costa maiuscolo-maiuscolo come fosse nome-e-cognome. Naturalmente lui di nome fa Claudio e pure Marcello, ma per tutti è "Dottor Costa, quello che mette a punto, aggiusta e talvolta restituisce alla vita e all'agonismo i campioni dei motori". I crismi li ha tutti: non nasci a Imola e tuo padre non è Checco, quello che ha inventato il locale circuito motoristico, senza che ti resti attaccata addosso un bel po' di polvere di pneumatico.
Dottore, che ci fa qui? Allora è vero che la morte del Sic è stata un trauma definitivo...
«La clinica mobile in Qatar c'era. Insieme ai miei collaboratori. Io ho preso atto dell'anagrafe: ho 72 anni e mi sono imposto di seguire solo le gare in Europa, salvo concedermi qualche corsa dell'altro mondiale, quello di superbike».
Torniamo all'annata appena iniziata. Costa ha scritto un bel libro, dedicato a Simoncelli, "Vittoria di Marco e il folle sogno del dinosauro: eroi, non estinguetevi". Si sono estinti? È per questo che non va più fuori dall'Europa, manca il brivido del mito?
«Marco è unico, irripetibile, ma di talenti ne nascono sempre di nuovi e mi pare che ne stia nascendo uno proprio adesso. Il nome che si impone ora è quello di Marquez. Talento puro, speriamo».
E il ritorno definitivo di Valentino? C’è o no?
«Spero che Rossi si ricordi di ritrovare quel bambino spensierato che si divertiva in moto, il bambino che è stato».
E che non è più, giusto?
«Io non l'ho detto».
Simoncelli era ancor meglio? Non c'è stato il modo di misurare la differenza.
«Per me il Sic è davanti a tutti. Non è solo questione di abilità, è difficile descrivere qualcosa di fenomenale, di mai visto prima. Per me gli eroi sono Doohan, Capirossi, Simoncelli, Alex Zanardi e... Marco Pantani. Gente che ha qualcosa di grande e fa scattare qualcosa di grande nella gente».
Pantani, però, non è un motociclista...
«Pantani è un mio grande rammarico. Vennero alcuni amici, miei e suoi, oltre a suo zio, a cercarmi per vedere di fare qualcosa per lui dopo Madonna di Campiglio, quando fu cacciato dal Giro. È quello il momento in cui Pantani ha purtroppo iniziato a farsi male. Speravano che io avessi un ascendente, che trovassi la... sua chiave, forte dell'esperienza che avevo con altri ragazzi grandi eppure fragili. Risposi che avevo già le giornate piene per i miei impegni con il motociclismo. Quando, il 14 febbraio 2004, Pantani morì atrocemente solo in quel residence di Rimini, scrissi una lettera ai suoi per chiedere perdono. Perdono che l'umanissima mamma di Pantani mi diede, insieme al permesso di pubblicare la lettera nel libro sugli eroi. Questo lenì, anche se in piccola parte, il mio senso di colpa».
Dicono che se lei avesse parlato con un altro Marco, Simoncelli, prima della partenza del Gp della Malesia, forse non sarebbe successo.
«Io sono un grande superstizioso e quando gli ho visto al collo l'asciugamano rovescio mi è venuta rabbia: avessi potuto parlargli gli avrei detto di non sfidare la sorte, di rimandare il conto con la fortuna alla corsa successiva, di non rischiare la vita a Sepang che c'era qualcosa che spingeva nel verso sbagliato».
Sic è morto senza poter esprimere appieno il suo potenziale...
«Che c'era tutto e lo sapevano anche i suoi avversari. Quanto sarebbe durato il fenomeno? Non posso dirlo, ma tanto. Più di Agostini e Valentino? Ne sono certo. Stiamo parlando di cavalieri del mito. Ma si muore. E ce n'è consapevolezza. C'è l'ebbrezza dell'eccesso di un sogno. Caratteristiche che accomunano, appunto, grandi come Doohan, Senna, Villeneuve... Chi è vicino alla figura della morte, ne è affascinato e finisce col giocarsela a scacchi. Qualcuno se ne va con la signora morte, come Simoncelli, Senna e Villeneuve, qualcuno le lascia la metà di sè come Zanardi. Salvo esaltare la parte che è rimasta, la testa, come ha fatto Alex, che stupisce ogni giorno di più, mostrandosi uomo dalle molteplici opportunità».
In compenso, diceva Alvaro Bautista qualche giorno fa, ci sono talenti che, per mancanza di sponsor che spingono, si perdono e nessuno li conoscerà mai.
«Vero, verissimo. Talvolta ci vuole il carattere per non mollare mai, ma spesso capita che con le tue forze non riesci nemmeno a restare dentro il circo del motociclismo. Il Sic ha avuto quel carattere, ma alla fine ha dovuto mollare... qualcosa agli dei».
È brutto chiederlo a uno che ama alla follia lo sport motociclistico ed è nato a bordopista, ma c'è ancora una ragione per gareggiare così... estremamente? Le corse portano ancora qualcosa in termini di migliorie tecniche su mezzi e materiali comuni?
«Sicuramente. A parte freni, pneumatici eccetera, la vera frontiera è quella dell'abbigliamento, degli airbag, del casco la cui efficacia è sempre più grande».
E cresce anche l'efficacia della sua invenzione, la clinica mobile.
«Sono felice quando posso dire che la nostra clinica ha curato e salvato piloti per quarant'anni, ma anche perchè personalmente ho assistito alla trasformazione della ferita: da dolore a dono e messaggio di speranza. Provate a pensarci: è un' eredità importante».
Ci scusi l'impertinenza: lei ha mai avuto una moto, ha mai fatto un giro di pista?
«Mai, ma anche Omero era cieco, eppure ha raccontato uomini, gesta e battaglie, ha stimolato la fantasia e il pensiero degli uomini per millenni. Non è necessario cavalcare una moto per distillare ciò che ho imparato in questi quarant'anni».
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