Tanta Mestre nel Villalta story «La Duco, Gianni Giomo e quei derby con la Reyer...»

Il campione di Maserada, oggi 63enne, ricorda gli inizi della sua splendida carriera «Pendolare e studente, un mondo diverso. Le regole attuali non mi piacciono»

Passano gli anni, ma Renato Villalta rimane un idolo per i tifosi mestrini. Tra la Montedison e il Coni è iniziata la sua carriera, il trampolino che l’avrebbe proiettato alla Virtus Bologna e alla Nazionale. Trevigiano di Maserada sul Piave, 63 anni, Renato Villalta arrivò al Basket Mestre nel 1969 e ci rimase fino al 1976, quando passò alla Virtus per 400 milioni di lire, un cifra record per l’epoca. Oro agli Europei di Nantes 1983, argento alle Olimpiadi di Mosca 1980, tre scudetti e due Coppe Italia con le V nere, poi il biennio a Treviso a fine carriera.

«Non è stato facile lasciare Maserada a 13 anni» ricorda Renato Villalta, «devo ringraziare soprattutto i miei genitori, che hanno sempre creduto in me. Sono stati lungimiranti, loro e mia sorella, hanno capito che avevo una grande opportunità. Sono stati convinti da Gianni Giomo, un grande uomo, che è stato il mio primo allenatore a Treviso e che poi mi ha voluto con sè a Mestre».

Il giovane Villalta si riscopre pendolare dalla Marca a Mestre. «Il primo anno ho continuato ad abitare a Maserada sul Piave: ero sempre in viaggio. Studiavo geometra a Paese, poi prendevo il treno a Treviso per Mestre. In stazione, attraversavo i binari per andare ad allenarmi a Marghera nella palestra della Montedison. Terminati gli allenamenti con le giovanili, mi trasferivo al Coni per aggregarmi alla prima squadra, infine Gianni Giomo mi riportava a casa, ero sempre distrutto. Il Coni era un simbolo allora per la città di Mestre, con la sua forma particolare».

Ad un cero momento arriva anche la stabilità per il giovane Villalta, che cresce anche su livelli tecnici. «Dal secondo anno fu più semplice, mi trasferii a Mestre, in viale Garibaldi, presso la famiglia De Battista, personaggi incredibili che porto sempre nel mio cuore. Mi hanno fatto da papà e mamma a Mestre».

Villalta e la passione di Mestre per il basket. «La città viveva in maniera pazzesca la pallacanestro, la squadra era parte integrante della città. Mi sentivo uno di loro. Il palasport era sempre strapieno di tifosi, che poi ci seguirono con passione anche a Castelfranco». E poi le sfide tra Mestre e Venezia. «Bellissima, era una rivalità sana, viva, quella con la Reyer. Al di fuori dal campo eravamo amici anche noi giocatori. Giocare alla Misericordia era incredibile. Adesso so che Brugnaro l’ha ristrutturata alla grande. Quando ero presidente della Virtus, ho avuto qualche discussione con lui in Lega perché avevamo visioni diverse, però tanto di cappello per la realtà che ha costruito a Venezia, ne servirebbero tanti di imprenditori come lui».

Dalla Duco alla Virtus Bologna per 400 milioni di lire. «Cifra molto alta, per me è stata un peso, anche se nelle mie tasche non è terminata una lira. Nel mio inconscio ho sempre sperato che una parte di quella cifra sia servita anche per costruire il nuovo palasport di Mestre».

Tante le differenze tra passato e presente. «Era una pallacanestro diversa da quella attuale, c’erano meno stranieri e più italiani che emergevano. Esisteva ancora il vincolo, quindi i giocatori si identificavano nel club. Io a Bologna ho giocato 13 anni, oggi è impensabile una situazione del genere. Il professionismo è esasperato: c’è una porta girevole da dove entrano ed escono i giocatori. Non mi piacciono le regole attuali della pallacanestro, anche perché non sono stabili. E questo si riflette anche sui risultati della Nazionale». —

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