Ultrà, quarant’anni di antagonismo

Ferrari analizza il fenomeno dagl ianni Sessanta ai nostri giorni

Ciro Esposito è morto. Principale accusato: un ultrà romano, Daniele De Santis. Il feretro del tifoso del Napoli, colpito da un proiettile il 3 maggio scorso durante la partita di Coppa Italia Napoli-Fiorentina, è stato accompagnato nel suo ultimo viaggio da circa ventimila persone. L’atmosfera è da curva: sciarpe, cori, striscioni. Gli ultras, presente anche Gennaro De Tommaso detto “Genny ’a Carogna” non rinunciano a indossare magliette con scritte provocatorie come “la diffida non cambia la mia vita”.

È questa la fotografia della tifoseria italiana oggi? Per capirlo e per approfondire il fenomeno è utile leggere il saggio del filosofo ed esperto di ambienti culturali come quello legato al tifo calcistico Andrea Ferreri: “Ultras. I ribelli del calcio. Quarant’anni di antagonismo e passione” (Bepress, 15 euro). Era la fine degli anni Sessanta: il fenomeno ultras coincide con un momento molto turbolento della società italiana. «Le azioni si ispirano a quelle della guerriglia urbana della contestazione del ’68 e sono alimentate dalle tensioni sociali che questa stessa le ha lasciato in eredità».

Da subito la connotazione di questa frangia di tifoseria appare chiara: uniformità con lo stile di lotta dei gruppi eversivi, persino l’abbigliamento è paramilitare e i cori sono spesso presi in prestito dalle manifestazioni politiche. Lo sport, il calcio? Pare centrare poco, pare essere la scusa per dare sfogo a una violenza collettiva che non sa dove scaricarsi se non allo stadio. Ma non è sempre stato così: negli anni Cinquanta i Moschettieri Nerazzurri (Inter), i Fedelissimi del Torino, i Viola Club Vieusseux (Fiorentina) erano gruppi con caratteristiche da pacifiche federazioni tra tifosi. Oggi il fenomeno ultras, passato attraverso il boom degli anni Ottanta e il radicale cambiamento del calcio degli anni Novanta, è ancora una delle componenti fondamentali del mondo del calcio, ma è in una crisi profonda. Così l’autore: «Oggi in Italia si sta portando avanti una battaglia di criminalizzazione contro uno degli ultimi movimenti di aggregazione sociale di massa esistenti... I mass-media danno corpo a quell’idea ambigua che fa dello stadio un posto necessariamente pericoloso e dell’ultras un soggetto esclusivamente violento». Un posto dove Ciro Esposito, tifoso fra tanti, ha trovato la morte.

Annalisa Celeghin

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