A caccia di un futuro in camice bianco tra speranze e incubo numero chiuso

il racconto
Idealisti e sognatori, convinti che cambieranno il mondo e pronti a mettersi all’opera per il prossimo. Gli aspiranti medici sono ragazzi appassionati che ambiscono al camice bianco come i bambini desiderano volare, ma in buona parte non sono ancora pronti ad accettare compromessi e pragmatismo. Sono sicuri che lavoreranno tutti nel pubblico perché lì «c’è bisogno di noi» e di compensi, strutture obsolete e turni di lavoro massacranti, pare non gliene importi davvero nulla. Adesso, almeno.
tutti in fila per il test
Ieri mattina la lunga fila di candidati si è snodata lungo via Bassi. «Entrate solo con il documento d’identità, cellulari nelle borse, se non ne avete ve le forniamo noi, andate al bagno adesso perché una volta dentro non sarà più possibile». Questo il messaggio ripetuto all’infinito dagli assistenti universitari e a ogni centimetro conquistato verso la sala della prova, la tensione aumentava fino a segnare i volti dei giovani. In 2928 volevano provarci, 80 posizioni non sono state però giudicate valide dal Miur, dunque 2862 sono stati gli iscritti ufficiali e, di questi, si sono presentati 2846 candidati: 164 erano assenti confermando una percentuale del 94,24% di aspiranti camici bianchi.
speranze e ambizioni
«Vengo da una famiglia di medici» riferisce Laura Flospergher, «mio papà è medico, mia sorella studia Medicina e mio cugino idem». Per lei è la prima prova, è arrivata da Vicenza con una storia non comune alle spalle: «Soffro di una malattia cronica che non può guarire e gli ospedali mi sono stati familiari fin dall’infanzia. Invece di vivere tutto questo come un trauma, mi sono appassionata». Qualche passo più avanti nella lunga fila, Valentina Veronese e Lisa Borzaga: loro sono arrivate da Schio e sono già al terzo tentativo per entrare a Medicina: «Ci sentiamo medici» scandiscono, «nient’altro. Vogliamo lavorare nel pubblico e vogliamo diventare chirurghe». I novanta minuti che separano questi ragazzi dal loro sogno fanno paura ma l’entusiasmo supera tutte le difficoltà. Così Federico Lombi, da Colmurano, un paesino marchigiano della provincia di Macerata: «L’anno scorso ho provato a Milano» racconta, «quest’anno a Padova che è un’eccellente università. Ho studiato l’anno passato come terapista di comunità, ma voglio diventare un neurologo e lavorare nelle corsie della sanità pubblica, dove si sgobba ma si fa la differenza».
protesta sul numero chiuso
All’ingresso del Vallisneri, all’apertura dei cancelli, c’erano i ragazzi del Fronte della gioventù comunista a protestare per il numero chiuso: «Il test d’ingresso è prima di tutto una selezione di classe» critica Giacomo Venturato, 23 anni, studente, due chiari orecchini di “libertà” alle orecchie. «Non c’è merito senza uguaglianza. Questa mattina stiamo protestando contemporaneamente in numerose città italiane, dove si tengono le selezioni per Medicina, perché vogliamo dire con forza che i test d’ingresso non hanno nulla a che fare con il merito. Il punto principale è che non tutti i ragazzi partono realmente dallo stesso livello. Tanti dei candidati presenti oggi hanno pagato professori e corsi, hanno acquistato libri e simulazioni per prepararsi al test. Questa è una evidente barriera economica. Si continua a parlare di “gioventù piagnucolona” che ambisce solo a professioni privilegiate, come appunto quella di medico, ma è la stessa società che inculca questa idea perché tutto intorno c’è disoccupazione e futuro incerto. Dunque siamo qui a manifestare per tutti, ma anche a invitare i futuri universitari a entrare tra le nostre fila perché i diritti non cadono dal cielo ma si conquistano sporcandosi le mani». —
Elvira Scigliano
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