A Massanzago rifiorisce la bachicoltura

MASSANZAGO. È stato avviato nel vivaio di Lino Bernardo uno dei pochissimi allevamenti sperimentali del baco da seta. «Abbiamo cominciato per caso perché seguiamo la potatura dei gelsi nell’Unità di ricerca di Brusegana, che si occupa di apicoltura e bachicoltura», racconta Bernardo, «siamo partiti l’anno scorso con 2 mila esemplari per arrivare ai 20 mila di quest’anno. Se funziona si aumenta fino a un reddito di almeno 400-500 mila euro», dice Bernardo, «vedremo come evolverà e se ne varrà la pena».
L’impianto è stato avviato dall’Unità di ricerca e della campagna bachicologica dopo che l’ente ha scoperto che i bachi avevano ripreso a imbozzolarsi. «Non lo facevano più da 30 anni», spiega Silvia Cappellozza, responsabile della campagna 2014, «negli anni ’90 la produzione di bachi da seta si era interrotta a causa di un insetticida che veniva distribuito sugli alberi da frutta. Questo prodotto, portato dal vento, si depositava anche sulle foglie dei gelsi e i bachi che lo mangiavano non mostravano segni di malattia ma quando era il momento, non si imbozzolavano più perché il principio attivo funzionava come un ormone giovanile e li faceva rimanere allo stadio di larva». Successivamente l’insetticida è stato proibito in tutto il territorio nazionale, tranne in Trentino dove, essendoci un’ingente produzione di mele, non si usa che quello specifico prodotto per evitare la compromissione della raccolta. «Però per un certo periodo è stato usato illegalmente anche in Veneto, ma da 4-5 anni non lo si è più riscontrato», aggiunge la responsabile Cappellozza, «ce ne simo resi conto perché abbiamo dei bachi da seta in alcune scuole e vediamo se filano o no. Così abbiamo avviato impianti sperimentali nella zona di Treviso, nel Bellunese e in Calabria, regione quest’ultima dove la bachicoltura si è sempre tradizionalmente fatta, e a Massanzago. Noi facciamo ricerca ma cerchiamo di trasferirla nel territorio dove operiamo. Intanto siamo riusciti a far capire quanto pericolosi siano gli insetticidi, oltre al baco essi agiscono su altri insetti che non sono monitorati come ad esempio le farfalle: vediamo solo che scompaiono e non ne capiamo la ragione», afferma Cappellozza. L’allevamento dei bachi da seta va avanti per fasi, partendo dall’approvvigionamento delle uova. Le larve che nascono fanno dalle 4 alle 5 mute nell’arco di un paio di mesi, sempre nutrendosi con grandi quantità di foglie di gelso. Infine s’imbozzolano generando il prodotto che viene immesso sul mercato. «Collaboriamo con una ditta milanese di cosmesi che crea un prodotto per la pulizia del viso, venduto nelle farmacie», spiega Cappellozza, «nei bozzoli del baco da seta c’è la sericina, una delle proteine della seta; contiene dei principi attivi che hanno un effetto antiossidante. Questa ditta, invece di approvvigionarsi di bozzoli all’estero ha deciso di sfruttare i bachi italiani e qui hanno la garanzia del controllo dell’intera filiera, dalla fornitura delle uova all’assistenza tecnica».
Nell’ottica di uno sbocco lavorativo, l’allevamento del baco può dare un futuro soprattutto agli agricoltori che non dispongono di varie aziende, ma non come attività unica. Può entrare nell’ordinamento aziendale in alternativa alla coltura del mais o incrementare il budget familiare. Si può fare come secondo lavoro, in famiglia, basta avere uno spazio, anche ridotto. Il lavoro si concentra in un periodo abbastanza limitato, il ciclo del baco è legato alla stagione, si possono fare 3, 4 cicli e più in un anno durante il periodo primaverile-estivo. Si può anche far un’unica produzione in primavera.
Giusy Andreoli
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