A un passo dal carcere per errore

Trascrizione errata (anni anziché mesi), imprenditore salvato dagli avvocati

TORREGLIA. L’ordine di carcerazione era già pronto per essere eseguito: lo avrebbero preso e portato dritto in cella, a scontare due anni di reclusione. A quella pena, però, lui - un imprenditore del settore immobiliare di 51 anni, residente a Torreglia e con società a Udine - non era mai stato condannato. È stata la coppia di avvocati friulani ai quali l’uomo, ormai rassegnato a finire al fresco, aveva raccontato la propria storia e poi affidato la propria difesa, ad accorgersi del clamoroso errore giudiziario e a evitargli così, in extremis, la via della galera.

Tutto nasce da una svista di trascrizione sul certificato del casellario giudiziale. Invece di 2 mesi di reclusione che gli erano stati inflitti quale “coda” di un procedimento per bancarotta fraudolenta, per il quale l’imprenditore aveva patteggiato già un anno e 10 mesi davanti al tribunale di Padova, con concessione del beneficio della sospensione condizionale, sul certificato penale risultavano essere stati scritti 2 anni. Il che, calcolatrice alla mano, fa un totale di 3 anni e 10 mesi, al posto degli effettivi 2 anni complessivamente comminati. Era il 1996. Ad aumentare la “posta”, nel 2009, sarebbe stata l’ulteriore condanna a 3 anni 2 mesi di reclusione (successivamente rideterminata dalla Corte d’Appello di Trieste in 3 anni) che il tribunale del capoluogo giuliano gli inflisse per il fallimento di una società nella quale era stato coinvolto in qualità di consulente. Ma c’è dell’altro. Perchè, con quella stessa sentenza, il collegio giudicante decise anche di revocargli il beneficio della sospensione condizionale che gli era stato concesso dai colleghi veneti. E lo fece, va da sè, proprio sull’erroneo presupposto - dedotto dal casellario giudiziale - del superamento del limite di 2 anni della pena. Ebbene, di quello svarione e di ciò che esso comportò, l’allora difensore non si accorse e, quindi, non chiese neppure alcun provvedimento correttivo. La decisione, in altre parole, non fu impugnata nè davanti alla Corte d’Appello di Trieste, nè alla Cassazione. Gli effetti dell’“abbaglio” sono storia recente. E a ripercorrerla, nella memoria inviata alla Corte d’Appello, sono stati i legali subentrati nella difesa. Gli unici in grado di accorgersi della serie di “granchi” collezionata, in particolare, dal tribunale di sorveglianza e dal collega che li aveva preceduti. Siamo nel 2013: il procuratore generale passa in rassegna le sentenze e, partendo dai 6 anni e 10 mesi complessivamente accumulati, tolti i 3 indultati e l’anno e 10 mesi prescritti, determina la pena residua da espiare in 2 anni. L’ordine di esecuzione, però, viene “stoppato” in fieri, grazie all’intervento dei difensori. L’altro giorno, finalmente, la sentenza che mette fine a questa commedia dell’assurdo in salsa giudiziaria. «Rilevato - recita il dispositivo - che il reato per il quale dovrebbe astrattamente espiare la pena residua di mesi 2, e non di anni 2, era già estinto», la Corte ha revocato la decisione sull’annullamento del beneficio della sospensione condizionale della pena e l’ordine di carcerazione.

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