Addio a Salvatore, l’intellettuale che scelse Venezia

«Questa città era Manhattan, era il centro del mondo e oggi è solo una bella pompa di benzina. Sa come andrà a finire? Che anche i turisti scapperanno». O anche: «Venezia è un ospizio per anziani con un po’ di soldi che possono permettersela».
No, non erano teneri gli ultimi giudizi di Gastòn Salvatore su Venezia. Ma assomigliavano un po’ a quelli di un innamorato tradito. Perché anche questo famoso scrittore e drammaturgo italo-cileno, nipote del presidente Salvator Allende e tra i protagonisti del movimento studentesco tedesco del ‘68 accanto a Rudi Dutschke, come molti altri grandi intellettuali aveva scelto di trascorrere l’ultima parte della sua vita a Venezia. Dove ora è morto, a quasi 75 anni, nella sua casa di Dorsoduro. E Venezia Salvatore l’aveva vissuta in modo intenso, tra i primi a riscoprire ad esempio l’Arsenale prima dell’“ondata” biennalesca.
Si era formato a Berlino, dopo i primi studi cileni, è lì, alla metà degli anni Sessanta, proseguendo gli studi nelle facoltà di Filosofia, Sociologia e Scienze Politiche, aveva conosciuto ed era divenuto amico di Hans Magnus Enzensberger, che lo aveva incoraggiato a scrivere in tedesco e insieme al quale fonderà poi la rivista Trans-Atlantik. Rimane dunque a Berlino e prende parte, insieme a Dutschke ai moti studenteschi di fine anni Sessanta, che gli valgono una condanna per sommosse a nove mesi di carcere.
All’inizio degli anni Settanta in Cile ci fu il golpe in cui Allende fu assassinato e Salvatore, molto legato allo zio, seppe del colpo di Stato in Germania, dove gli venne tolto il passaporto cileno. E fu allora, nel 1975, che lo scrittore si trasferì definitivamente a Venezia. Ma in Italia, nel ’70, aveva già lavorato con Michelangelo Antonioni al completamento di “Zabriskie Point”e la collaborazione con il regista porto anche alla stesura del suo romanzo “Der Kaiser von China”, che racconta dei primi costruttori della Grande Muraglia Cinese. Fu a Venezia che completò nel 1985 la sua opera teatrale “Stalin”, rappresentata per la prima volta due anni dopo a Berlino e poi tradotta in numerose lingue e rappresentata in tutto il mondo. Lavori sempre di forte impatto politico, quelli di Salvatore, come “King Kongo”, rappresentato nel 1991, sulla Conferenza di Berlino del 1884-85 sul Congo e sul genocidio in Africa centrale. O il dramma “Allende”, alla fine degli anni Novanta, pubblicato in Italia nel 2000.
Dal suo “buen retiro” veneziano, aveva continuato a lavorare, e il suo ultimo dramma, “Feuerland” (Terra del Fuoco) è del 2007, presentato in forma ridotta e sotto forma di lettura anche a Venezia due anni più tardi, dallo stesso autore, al Centro tedesco di Studi Veneziani.
Gastòn Salvatore era molto preoccupato per il futuro di Venezia (ne aveva discorso lo scorso anno anche sulla rivista tedesca Bauwelt con Vittorio Gregotti, in un numero significativamente intitolato “Vendesi Venezia”) ma era comunque rimasto qui. Perché, nonostante tutto, staccarsene è molto difficile per chi la ama per quel che è ed è stata. E non per quel che sta diventando.
Enrico Tantucci
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