Alessandro Benetton: «Fiducia nel made in Italy 100 milioni per crescere»

TREVISO. «Crediamo fermamente nella media e anche nella piccola impresa italiana. Ci aspettiamo di investire almeno 100 milioni nei prossimi sei mesi in particolare in aziende attive nei segmenti del gusto, Made in Italy, tecnologie avanzate e lusso». Alessandro Benetton, fondatore di “21 Investimenti” risponde dritto a chi gli chiede un parere sull’andamento e sull’evoluzione possibile dell’economia in Italia e a Nordest.
E a sostegno della tesi puntualizza che - a pochi mesi dalla raccolta dell’ultimo fondo di investimento, pari a 350 milioni – dalle casse della merchant trevigiana sono già usciti 80 milioni per acquisire nuove partecipazioni industriali.
Ma dal suo osservatorio quale panorama vede riguardo alle condizioni del tessuto industriale del Nordest?
«Sostanzialmente le condizioni sono buone, per quanto riguarda il livello di reattività e di energia espresso da parte degli imprenditori. Vedo più coscienza del fatto che non siamo in un ciclo negativo, ma che viviamo una condizione nuova in cui l'instabilità è la regola, con cui fare i conti e rispetto alla quale produrre discontinuità.
Per chi reagisce prima e sa cavalcare il cambiamento, ci sono grandi opportunità. Possiamo essere fiduciosi, perché vedo sempre maggiore consapevolezza sulla natura della sfida.
Si diceva una volta che si invecchia quando i rimpianti superano i sogni. Un grande maestro italiano di discontinuità è Del Vecchio, che in questo periodo si mette in gioco una volta di più, personalmente. Mi piace per il suo coraggio».
A proposito di discontinuità e di aziende leader nate a Nordest, come descriverebbe lo stato di salute di Benetton Group?
«Il marchio Benetton per noi è sempre un grande motivo d'orgoglio. Edizione Holding e il management hanno avviato questo nuovo percorso da metà 2013 e ovviamente tre anni sono pochi per trarre conclusioni. Da allora vado al Consiglio di amministrazione. Partecipare al consiglio è solo una occasione per rimanere un po’ informato».
In questi giorni dovrebbe anche essere nominato il nuovo presidente di Benetton Group, dentro a un processo di rinnovamento che coinvolge la galassia delle partecipate di Edizione.
«Il nuovo presidente di Benetton non ho ancora avuto modo di conoscerlo. Sono più che mai concentrato sulla 21 Investimenti, mi ritengo fortunato, perché con questa mia società faccio l’imprenditore di prima generazione, avendola fondata. E attorno a me vedo tante opportunità, perché le imprese sane e vitali da guidare non mancano davvero».
Ma l’industriale tipo nordestino è oggi più pronto ad aprire le porte e il capitale a investitori esterni?
«Se fino allo scoppiare della crisi l’imprenditore non esaminava nemmeno lontanamente l’ipotesi di un azionariato diverso per la sua l’azienda, o di passare la mano, in questi ultimi anni è radicalmente cambiato il contesto. E tanti hanno capito che noi non siamo assimilabili allo stereotipo del solo azionista finanziario, ma siamo portatori di un disegno industriale. In altre parole ci poniamo noi come gli imprenditori dell'azienda. Aggiungo poi che nell’impresa risiede responsabilità sociale, occorre spersonalizzarla in modo da tenere conto degli altri stakeholders. Resteranno solo le aziende che avranno dimostrato di essere socialmente utili, oltre a fare utili».
Nel portafoglio di “21 Investimenti” quali sono i casi di scuola?
«Citerei due-tre casi esemplari. Penso al cambio che siamo riusciti a imprimere in Viabizzuno, impresa leader nell’illuminotecnica. Penso a Farnese, polo aggregante dei vini di qualità del Sud, che esporta oltre il 90% della produzione. A Forno d'Asolo rimangono fortissime potenzialità, basti dire che l’abbiamo presa a 80 milioni e l’anno venturo sarà a 120. Forno d’Asolo è stata fondata da due bravi imprenditi locali, che hanno puntato su un partner esterno per far crescere il loro business legato alla produzione e distribuzione di prodotti surgelati per bar.
Mi piace pure la storia di Sifi, azienda siciliana che produce lenti per cataratta e farmaci per la cura degli occhi. Testimonia che esiste un Sud dinamico, moderno e con attenzione alla responsabilità sociale, di cui noi andiamo in cerca».
Che effetti immagina sul tessuto imprenditoriale veneto dalla crisi delle banche popolari?
«Inizierei a dire che sono sorpreso che ci sia tanta sorpresa. Che le banche popolari fossero in disequilibrio, lo sapevamo tutti da 7-8 anni. Pensare che tutto dipenda dall’azione negativa di alcuni individui al comando, mi pare assai limitativo. Il che non toglie che i danni provocati su alcune tipologie di risparmiatori penso andrebbero risarciti, perché il profilo di rischio è stato del tutto falsato. Ma questo attiene al passato e purtroppo ai danni che si riverberano sul presente. Se siamo lungimiranti, però, dobbiamo pensare che il modello di business delle banche classiche appartiene al passato e che formule alternative e complementari stanno per nascere. E comunque le banche oggi non lesinano il denaro a chi ha buoni progetti. Penso che le popolari saranno fatte ripartire e che torneranno a essere strumenti di sostegno al territorio».
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