Alla scrittrice somala Scego il premio Bauer-Ca' Foscari

Concluso "Incroci di civiltà": «In un mondo pieno d'odio la letteratura fa conoscere la diversità»
La scrittrice Igiaba Scego scrittrice e giornalista di origini somale
La scrittrice Igiaba Scego scrittrice e giornalista di origini somale
 
VENEZIA.
Siamo quello che siamo o quello che gli altri vogliono che siamo? La conclusione di «Incroci di civiltà» impone alcune riflessioni sull'effettiva esistenza di un'identità pura e sul significato di identità. Pap Khouma, scrittore senegalese e autore del famoso libro «Io, venditore di elefanti», ha raccontato a questo proposito un aneddoto: Arrivato in Italia nel 1984 volevo conservare la mia «africanità» e non volevo diventare italiano».  «Quando tornai in Africa mia mamma e mia sorella maggiore mi dissero: «Sei cambiato, sei diventato italiano» e io rimasi di sasso, avevo cercato in tutti i modi di conservare pura la mia africanità. Da allora iniziai a pensare a cosa significa davvero essere italiano o essere africano e mi accorsi che non è un concetto così chiaro» spiega. Ognuno barricato dietro i propri confini, ma forse solo in apparenza. Di fatto sembra che le uniche barriere esistenti siano quelle delle definizioni che gli esseri umani si appiccicano con insistenza addosso e che fanno fatica a togliersi.  Il premio Bauer-Ca' Foscari per celebrare un autore giovane è andato a Igiaba Scego, scrittrice e giornalista di origini somale, autrice del libro «La mia casa è dove sono». La Scego, punto di riferimento per la cosiddetta Seconda generazione, ha contribuito al dibattito riferendo alcune situazioni in cui si trovano oggi i figli di migranti: «Le attrici nere hanno molta difficoltà a lavorare nello spettacolo perché il ruolo richiesto è sempre la prostituta o la balia, insomma, i vecchi stereotipi. Il problema non è tanto quello di recitare questi ruoli, il problema è accorgersi che persistono». Ascoltando i dibattiti e i discorsi degli autori ci si domanda in che cosa consista davvero l'identità e come il soggetto costruisca una propria rappresentazione di sé e del gruppo a cui si sente di appartenere, soprattutto in una società - per dirla alla Zygmunt Bauman - liquida. A proposito di confini che si sgretolano, Dubravka Ugresic racconta la sua esperienza in seguito alla guerra della ex Jugoslvia: «I governi europei erano molto attenti alle varie etnie, ma non avevano preso in considerazione il fatto che c'erano molte persone che si consideravano jugoslavi e non serbi e croati come attestavano i confini. Io, per esempio, non mi sono mai sentita croata, ma gli altri mi definiscono così». «Incroci di Civiltà» ha avuto il merito di sollevare alcune questioni che appartengono alla contemporaneità mostrando come la letteratura possa contribuire a realizzare un'unica grande civiltà umana: «In un mondo pieno di odio - afferma l'islandese Jon Kalman Stefansson - la letteratura è lo strumento che fa conoscere la diversità e quando la si conosce non la si può in nessun modo odiare». V. S. Naipaul, premio Nobel 2001, chiude con una bellissima metafora: «Noi scrittori siamo simili ai vetrai, non sappiamo mai cosa succede durante il processo creativo, per questo la scrittura ha qualcosa di magico».

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