Alvise, trent’anni di impegno per una città più accogliente

Il professore di Fisica del liceo Fermi da 18 anni è presidente di Popoli Insieme «La nostra città è strabiliante, ma aprire le porte di casa costa sempre fatica»

PADOVA. L’altra faccia delle migrazioni, piccole e grandi, più e meno problematiche, è una storia di accoglienza, costruita con buona volontà e passione, all’inizio. Poi con dedizione e professionalità. A Padova, che è stata spesso frontiera, Alvise Moretti ha vissuto questa storia - praticamente tutta - da dentro, come altri ma più di tanti. Studente universitario ai tempi dei primi arrivi da Tunisia, Marocco e Algeria, ha affrontato l’epoca dei grandi numeri dall’Est Europa e poi gli sbarchi senza fine degli ultimi anni.

Oggi, a 53 anni, mentre il suo lavoro è quello da professore di Fisica al liceo Fermi, guida l’associazione Popoli Insieme, che è un’istituzione in città nel campo dell’accoglienza e dell’integrazione, con 50 volontari attivi, cinque dipendenti e un credito che si misura di anno in anno nell’eccezionale adesione ai corsi per volontari nei servizi a migranti e richiedenti asilo, che la sua associazione organizza.

«Ho iniziato da volontario e lo sono ancora, ma nel frattempo sono diventato anche datore di lavoro», dice con un sorriso Alvise. «È un impegno notevole, in effetti. Mia moglie mi prende in giro dicendomi che vado a insegnare per hobby e che il mio lavoro è quello per l’associazione». Non è così, ovviamente. Ma diciotto anni da presidente sono una testimonianza di dedizione sulla quale c’è poco da discutere.

Nell’anno dei mondiali in Italia, dal Nord Africa arrivano i primi migranti economici. «All’Antonianum ci diamo da fare per sistemarli. Trovargli lavoro non è un problema, l’alloggio sì». È il primo impatto con un mondo sconosciuto. Ma Alvise, con altri dodici coetanei, non si ferma lì. «Ad agosto andiamo a fare un campo di lavoro in Burkina Faso con la Caritas Antoniana. E al rientro, quando all’Antonianum arriva padre Benvenuto Mendeni, abbiamo la spinta a costruire qualcosa di strutturato».

Alvise coltiva la sua “vocazione” al volontariato facendo un anno di servizio alle Cucine Popolari e il servizio civile con la Caritas. Ma nel 1994 si apre un altro fronte dell’accoglienza: «Arrivano i migranti dall’Est Europa e siamo chiamati a rispondere»

. Popoli Insieme all’inizio garantisce ospitalità in vicolo Santonini, poi attrezza una struttura dei padri rogazionisti in via Minio, dove ci sono venti posti letto, che da allora saranno quasi sempre occupati. Ma la vera svolta arriva nel 2000 quando parte la collaborazione con il centro Astalli, un servizio dei gesuiti per i rifugiati. «Dal 2001 iniziamo ad accogliere una o due persone per volta, mandate dall’Astalli, che cercano lavoro e alloggio in città. E cominciamo a occuparci di rifugiati», racconta.

«Nel 2002 facciamo partire anche il progetto Finestre, per fare sensibilizzazione all’accoglienza nelle scuole superiori». Dal 1994 al 2002, in realtà, Alvise si laurea e lavora in giro per l’Italia e per l’Europa. «Poi rientro in città e mi eleggono presidente dell’associazione. E da allora - sorride ancora - non me ne libero più».

«Non è mai stato facile fare accoglienza», riflette ora Alvise. «Padova non è una città ostile, ma l’immigrato è tollerato fino a quando non arriva alla tua porta. Negli ultimi anni il clima è peggiorato, con gli immigrati dall’Est era più facile, perché erano bianchi».

Popoli Insieme dal 2002 in poi cresce quasi costantemente. Consolida la collaborazione con il centro Astalli, avvia progetti scolastici, fa partire i corsi di formazione che oggi contano anche 80 iscritti per volta. E nel 2005 entra nella rete Sprar, riservando da due a quattro posti per questo progetto nel centro di accoglienza di via Minio. Poi nel 2014 entra nell’accoglienza istituzionale.

«Le cose si fanno più serie», racconta Alvise. «Oggi gestiamo sette appartamenti con 35 posti letto a Padova e un alloggio di emergenza a Noventa. Ma non potevamo fare tutto con i volontari, anche perché abbiamo avuto alti e bassi nelle adesioni, così abbiamo 5 dipendenti. Il direttivo si è rafforzato, altri volontari sono arrivati. E abbiamo un’organizzazione solida».

«L’integrazione si costruisce con fatica. Ma è da lì che arrivano le gratificazioni», racconta. «Se ci penso, la più grande soddisfazione è stata aver aiutato un ragazzo della Costa d’Avorio a trovare casa e lavoro. Ci sono voluti anni, è stato un calvario, non c’era mediatore con cui non si scontrasse. Ma oggi mi incontra per strada, sorride e mi saluta, “ciao capo Alvise”. Questo ripaga di tutti gli sforzi. E mi piace anche pensare a quello che Padova sa mettere in campo come volontariato. È strabiliante, abbiamo un patrimonio di generosità del quale non ci rendiamo conto. C’è un effetto di contagio positivo, di trascinamento. Lo stesso che aveva spinto me a cominciare e che mi fa andare avanti». —


 

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