Assolto il ginecologo: «Il feto era malformato, legittimo l'aborto»

PADOVA. Prima che fosse completato qualunque accertamento giudiziario, furono letteralmente massacrati un ginecologo padovano, il dottor Guglielmo Serpotta, e una sua paziente trentenne, finendo sul “banco degli imputati” con la pesantissima accusa di aver provocato (il primo), chiesto e ottenuto (la seconda) un aborto farmacologico fuori tempo massimo su un feto sano. Un’accusa infamante che - quasi contemporaneamente all’avvio dell’inchiesta giudiziaria provocata da una segnalazione dell’Azienda ospedaliera - costò allo specialista pure un procedimento da parte dell’Ordine dei medici.
A più di un anno e mezzo di distanza, la verità viene alla luce: il ginecologo e la sua paziente rispettarono fino in fondo la legge. Nessun illecito, nessuna condotta penalmente rilevante da parte loro. Tanto che il pubblico ministero Orietta Canova ha trasmesso al gip Paola Cameran la richiesta di archiviare le contestazioni a carico del medico e della signora, difesi rispettivamente dai legali Lorenzo Locatelli e Davide Pessi. Già perché quel medico - uno dei pochi non obiettori, all’epoca dei fatti in servizio nella divisione ostetrica dell’Azienda - aveva effettuato l’aborto nel pieno e assoluto rispetto dell’articolo 6 della legge 194 del 1978, secondo la quale “l’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi 90 giorni, può essere praticata... quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.
E, in questo caso, gravissime erano le malformazioni del nascituro, del tutto sfuggite alle analisi ecografiche eseguite dalla signora nell’Azienda ospedaliera padovana, ma individuate dai consulenti tecnici della procura, il professor Raffaele Giorgetti dell’Istituto di medicina legale di Ancona, e il professor Gianluigi Pilu dell’Università di Bologna. Consulenti che eseguirono l’autopsia e le successive analisi sul feto (di 25 settimane) che presentava una craniostenosi sindromica, ovvero una malformazione della struttura cranica che causa deformità e ritardo mentale, un’atresia del colon e multiple sindattilie (fusioni congenite delle dita di mani e piedi), in più era stato colpito da un severo ritardo di accrescimento intrauterino e la prognosi di vitalità era comunque sfavorevole. I due tecnici hanno confermato il grave pericolo per la salute psicologica della paziente, causato dalla drammatica gravidanza: una condizione per l’applicazione della legge 194 se l’interruzione avviene oltre i tre mesi.
Eppure nel giugno 2010 il professor Erich Cosmi non aveva individuato alcuna anomalia. All’ecografia, tutto regolare. Tuttavia la signora non era convinta e si era rivolta all’ospedale di Bologna per un nuovo esame: il 5 luglio la tragica scoperta e il 14 del mese la decisione di abortire nella divisione padovana dove il dottor Serpotta somministra alla gestante prostaglandine, inducendo le contrazioni uterine e il parto.Poi il feto viene esaminato dal medico legale dell’Azienda, il dottor Roberto Salmaso: è quest’ultimo a stabilire che si tratta di un neonato a 26 settimane, perfettamente sano, un bimbo che avrebbe potuto condurre un’esistenza normale. Valutazione risultata errata che segna l’inizio di una sofferta odissea per il dottor Serpotta e la paziente.
Commenta l’avvocato Pessi: «Questo provvedimento rende giustizia di una vicenda che ha molto amareggiato la mia assistita».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova