Baccalà, il festival dell'inventiva esce dal Veneto
Innovazione obbligatoria con l'intramontabile stoccafisso

Lo stoccafisso durante l’essicazione alle Lofoten. A destra una ricetta
Capita che il lontano sia straordinariamente vicino ed il nostrano sia proprio foresto. Soprattutto nella gastronomia, quando la tradizione si dimostra essere un amalgama ed una sovrapposizione di storie diverse e distanti. Per capirlo basterebbe dire baccalà, ovvero stoccafisso, pesce norvegese per eccellenza che i norvegesi si rifiutano di mangiare, visto che ne esportano circa il 90% in Italia. Dove lo abbiamo trasformato in un piatto tipico della tradizione, a Genova, a Livorno, a Napoli, a Vicenza o a Venezia. Ragione che ha convinto i colti goderecci della Confraternita del baccalà alla vicentina di Vicenza, della Dogale Confraternita del baccalà mantecato di Venezia e della neonata Confraternita del baccalà alla cappuccina di Padova, assieme all'Accademia Italiana della Cucina, a dare vita al Festival Triveneto del baccalà (www.festivaldelbaccala.it), in cui una trentina di ristoratori delle sette province venete, più Udine, Pordenone, Trento e Rovereto, si sfidano proponendo ricette dedicate al baccalà, ma del tutto innovative, dato che sarà vietato prepararlo mantecato o alla vicentina, conso o alla cappuccina, con il riso o con le erbe. I piatti finalisti saranno scelti dai clienti dei ristoranti, esprimendo una rosa che sarà giudicata da un gruppo esperto nella trattoria Ballotta di Torreglia, provincia di Padova. Un'iniziativa che guarda alla Biennale 2015 per i settori della cultura dell'alimentazione e della civiltà della tavola. Il merluzzo diventa simbolo culturale delle diverse realtà trivenete, ma già dal prossimo anno il Festival diventerà nazionale, «perchè vogliamo coinvolgere le più disparate realtà che utilizzano il merluzzo - come dice Ettore Bonalberti dell'Accademia Italiana della Cucina - nelle multiformi varianti culinarie del baccalà salato e dello stoccafisso, quello che per i veneti è chiamato, da sempre e soltanto, bacalà». D'altronde i veneti sono maestri, anzi, "savi di bocca" come amano dire a Venezia gli aderenti alla Confraternita del Mantecato, e tra loro Franco Favaretto, cuoco e ristoratore di Mestre che accanto alla tradizione cerca la novità accostando, per esempio, le mele al baccalà. E' lui a suggerire il principio secondo cui il piatto rispetta il carattere del cuoco e a raccontare aneddoti a proposito della cucina norvegese, segnalando che ad Oslo l'Executive Chef del Grand Hotel si rifiuta di cucinare il merluzzo, ritenendolo "roba da italiani", salvo poi ricordare che in un'isola norvegese, durante una festa comunale, il vassoio con il mantecato pronto fu addirittura trafugato dalle cucine. Perchè è vero che il miracolo del baccalà in Europa dura da almeno sei secoli, ed anche il nuovo millennio non è da meno, proponendo accostamenti nuovi ed insoliti. Lo testimoniano i piatti della prima edizione del Festival, che l'anno scorso ha coinvolto solo i veneti. Tra le innovazioni, gli accostamenti del prelibato Gadus Morhua, la migliore qualità dello stoccafisso, con i pistacchi verdi, i fagiolini e i fiori disidratati. La gastronomia è un terreno in cui gli amori nuovi sposano gli antichi ed il fascino non manca. Come quello di un mantecato che sa di autunno euganeo, aromatizzando la fine battitura, fatta di braccia ed olio d'oliva, vietando panna o latte, nonostante gli scettici non ci credano, con il radicchio rosso appena scottato e le castagne sminuzzate assieme all'erba cipollina. Accanto, la gialla emulsione del purè di zucca. Il mistero ha a che fare con il gusto, almeno quando si trova armonia fra le cose della campagna, della montagna e del mare: magia di tortellini che accolgono una crema di baccalà, ricotta e farina di mais di Marano, saltati in padella con i porcini. Si può anche scomporre un baccalà alla vicentina, dopo averlo frullato, e farlo rivivere assieme ai filetti di sarde e a sfoglie di polenta infornate. E non sono che accenni, per un pesce, che essiccato all'aria e nel freddo o salato in forma di libro, si dimentica d'essere tale, per diventare il protagonista di una geografia senza confini.
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