Barbera succederà a Barbera (per un anno)

di Manuela Pivato
Soddisfatto per le 50 mila presenze, un filo stanco per i quasi cinquanta red carpet in dodici giorni, ma sereno. Molto sereno. Il direttore della Mostra del cinema Alberto Barbera si congeda dal festival con la certezza quasi matematica che al comando di Venezia 73 ci sarà di nuovo lui, grazie alla proroga di un anno (e poi si vedrà) che il presidente della Biennale Paolo Baratta proporrà al prossimo consiglio di amministrazione di ottobre. «Sì, dopo due mesi che me lo domandate tutti i giorni, ora posso dirvi che chiederò che Barbera resti» dice Baratta sulla terrazza del Palazzo del Cinema nel consueto breakfast di congedo con la stampa mentre, tutt’intorno, il festival smobilita.
Arrotolato il tappeto rosso, imballati i leoni, restano i ragionamenti - con qualche polemica - su come e perché è andata così. «Per vari motivi la generazione che ha segnato per 40 anni la storia del cinema sta scomparendo, quindi non è vero che abbiamo lasciato fuori i soliti noti» spiega Barbera. « Il fatto è che i soliti noti non c’erano. È evidente che c’è una nuova generazione di registi e talenti. Quest’anno abbiamo deciso di puntare su questo aspetto e, così facendo, il nostro festival ha recuperato il ruolo di far scoprire valori e autori nuovi».
Poi c’è il capitolo Italia. L’Italia, che aveva quattro film in concorso ed era uscita a mani vuote da Cannes, porta a casa la Coppa Volpi di Valeria Golino e basta. «Perché manca sempre qualcosa al cinema italiano per vincere? Dovreste chiederlo ai giurati » dice Barbera. «Abbiamo avuto quattro autori estremamente interessanti che rappresentano quattro strade diverse per il futuro del cinema italiano. Lo stesso Bellocchio, che ha 75 anni, ha fatto un film spiazzante. L’importante è che i film italiani vadano ai festival e girino per il mondo. Non è un problema nazionale. I film sono stati 21 e i premi erano nove. Personalmente ritengo che siano rimasti fuori dal palmarès due o tre titoli che meritavano più di altri di entrare ma non vi dirò mai quali».
Qualcosa suggerisce che la messe di premi all’America Latina - Leone d’oro al venezuelano Lorenzo Vigas per “Desde allá” e Leone d’argento all’argentino Paolo Trapero per “El Clan” - non sia arrivata totalmente inattesa poiché era stato lo stesso Barbera, durante la presentazione a Roma di Venezia 72, a rivelare che le vere sorprese sarebbero arrivate proprio dal sud America. «E così» chiosa Baratta «Cannes riscopre il cinema francese e Venezia quello sudmericano».
«Le giurie sono imprevedibili» dice ancora il direttore «credo che questa volta abbia scelto sottolineando i valori in gioco offerti dalla compagine sudamericana. Per quanto riguarda il Leone d’oro, la giuria è rimasta colpita dalla maturità dell’opera; un film, pur con qualche difetto inevitabile, che rivela un grandissimo controllo e una grandissima consapevolezza. È un film che è un progetto di cinema. Ci sono due modi di fare i festival: il primo è quello di chi si accontenta di lavorare in sintonia con il mercato mentre l’altro compie un lavoro di ricerca».
Il progetto di cinema del Lido intanto riparte dal “buco”. «Non riesco più a pronunciare questa parola» dice Baratta «per cui d’ora in poi chiamamolo arena perché questo diventerà, a fianco di quella allestita quest’anno per la prima volta nel giardino del Casinò che ha fatto il tutto esaurito ogni sera». La contabilità racconta inoltre dell’aumento degli accrediti 7380 (di cui 2720 per la stampa, 1600 di industry), una media di 40 proiezioni al giorno e i passi lesti di Biennale College.
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