Bergonzoni, gli arditi intarsi

Anteprima ad Asolo per “Nessi”, una falegnameria sintattica da applausi
Di Tommaso Miele
BARSOTTI - ALESSANDRO BERGONZONI IN REDAZIONE
BARSOTTI - ALESSANDRO BERGONZONI IN REDAZIONE

ASOLO. Asolo ha reso omaggio al vulcanico genio di Alessandro Bergonzoni con una serata da tutto esaurito. Giovedì sera il teatro Duse, incastonato nel piccolo borgo trevigiano, ha tributato ripetute standing ovation al talento multiforme dell’artista bolognese, che con il suo nuovo spettacolo teatrale “Nessi”, presentato in anteprima nazionale nell’ambito della rassegna Centorizzonti, ha cavalcato e domato parole e concetti, espressi a ruota libera. Una libertà mai fine a sé stessa, fatta di una “scienza espressiva della parola”: tutto ciò che sprigiona apparentemente senza concatenazione si va poi a concludere e legare, con una circolarità capace di frastornare lo spettatore “costringendolo” a un esercizio di agilità mentale non indifferente.

«Dobbiamo fare nesso con chiunque, senza precauzioni. Siamo tutti chiamati nell’albo degli invocati», snocciola Bergonzoni. Sì, perché proprio sulle corrispondenze e le affinità, sui vorticosi giochi dell’esistenza e i ritorni, si gioca il nuovo monologo bergonzoniano: “Nessi” è, appunto, un ampio abbraccio all’umanità, invitata a prendere coscienza della propria appartenenza a un genere unico e coeso grazie a un’invisibile colla vinilica, chiamata “sguardo sull’altrui”. Con un interrogativo fondamentale, che tra le risate della platea apre profondi squarci mentali: «Il problema non è credenti o non credenti, vedenti o non vedenti. Ma piuttosto veduti e non veduti, creduti e non creduti. Siamo tutti fili adottivi, vogliamo riconoscerci?».

Se gli spettacoli del re del calembour sfuggono a ogni definizione, questo è ancor più evidente durante le anteprime: ogni volta diverse, pregne di sperimentalismo e madide di sudore. L’arte di Bergonzoni, oltre ad essere pura falegnameria sintattica e ardito intarsio di vocaboli, è anche contorcimento fisico: sul palco asolano si è assistito a una ripetuta ginnastica gutturale, accompagnata dall’espressività articolata delle proprie membra. Tre incubatrici forate in scena, in cui affondare le mani per esorcizzare vita e morte, privato e pubblico, narrando di “cinghiali ricci” e di cani ripetutamente investiti, oltre che l’interazione con immaginari animali da circo (e uno strepitoso siparietto da domatore incluso). Come un grande ostetrico, l’esploratore lessicale emiliano ha estratto ripetute convergenze di senso e significato, bagnate dal comun denominatore dell’essere “aperti alla connessione”. Benedetto, come sempre, dalle tante risate regalate: temi importanti e profondi tratteggiati con l’umorismo esplosivo di un prestigiatore, capace di magie sempre nuove. Il “nesso” mentale tra Asolo e Bergonzoni è ormai di lunga data: da ben dieci anni infatti le sue immersioni linguistiche accompagnano la parabola di Centorizzonti per delle anteprime indimenticabili, amplificate dallo spazio raccolto del teatro Duse, carico di legno e storia. Che, sul finale di serata, dopo un’ora e mezza di impennate cerebrali, ha accolto in rigoroso silenzio (prima di tributare un fragoroso applauso al termine dei bis concessi) le ultime parole del suo monologo, risonanti come un suggerimento a vivere con gli occhi ben aperti, senza angoli ciechi: «...e a chi vi chiede come va la vita, beh, voi rispondete sempre: Miseria, come va!». Applausi.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova