Caovilla: «La Borsa? Ci sto pensando nella vita bisogna sognare»

VENEZIA. A metà del passaggio generazionale verso il figlio Edoardo, che porta il nome del nonno fondatore, indeciso se aprire il capitale ai mercati, convinto che il design eterno di Caovilla apparterrà a una nuova generazione di dieci creativi che sta personalmente formando a Fiesso D’Artico: così René Caovilla guarda al futuro. A Edoardo ha già demandato la parte commerciale e distributiva e lui, con il suo genio, continua a creare modelli da favola; tra una tappa nel lusso dorato di Dubai e il verde rifugio veneziano lungo il Brenta. «La vita ha bisogno di sogni» dice.
E qual è il suo sogno, oggi, per Caovilla spa?
«L’impresa va bene, non escludo la Borsa. Mi ripeto: perché no? Parlo di una piccola minoranza, mantenendo il controllo. Cresciamo del 20% quest’anno, i ricavi solo solidi, i progetti validi e la nostra forza di volontà è straordinaria. Sarei per tenere la finanza fuori dall’azienda ma per crescere può essere utile. Mi spaventano i tempi veloci della Borsa, di certo non faremo il passo più lungo della gamba».
Siete tra i pochi in Riviera ad aver sviluppato con successo un marchio proprio svincolandosi dalla façon e dalle grandi Maison. Com’è stato possibile?
«Ci siamo dati una regola. Anche noi abbiamo lavorato per Valentino, Dior, Chanel, ma non abbiamo mai dato loro più del 20% della produzione e abbiamo sempre continuato a fare scarpe con il nostro marchio. Se non poni limiti, finisce che poi comandano loro, le grandi case di moda e noi non volevamo essere façonnier. Così quando Chanel mi chiese più scarpe di quello che volevamo fare ho detto basta e abbiamo impiegato il 100% delle nostre forze nel marchio Caovilla che è decollato».
Hermes ha appena dichiarato di voler “copiare” i distretti all’italiana. Cosa pensa delle dinamiche distrettuali qui lungo il Brenta?
«Qui ci sono artigiani capaci e competenti come in nessuna parte al mondo. Ma gli imprenditori devono fare gli imprenditori e non gli artigiani. Purtroppo, lungo il Brenta, molti si sono fatti affascinare dalle quantità, hanno cercato basi sicure di guadagno e si sono trovati a essere “comandati” dalle griffe. Purtroppo, le licenze vanno e vengono e quando fuggono si resta a piedi ed è difficile recuperare. Molti, però, non hanno mai voluto essere altro che façonnier».
Perché?
«Per costruire un marchio proprio servono idee che buchino l’obiettivo e non è facile. C’è bisogno di una ricerca creativa continua e insaziabile».
Come si concilia l’artigianalità del made in Italy con i veloci tempi della moda?
«La velocità ci domina e dobbiamo rispettarla: dal laboratorio creativo escono cento modelli ogni sei mesi, almeno quaranta vanno in lavorazione. Ma l’artigianalità resta la base di tutto. La nostra è un’arte e non abbiamo operai ma maestri che hanno una grande passione, perché serve il cuore per creare scarpe. Sto investendo tantissimo nei giovani, hanno una forza straordinaria, sono veloci e competenti ma mancano di calore umano che è quello che io chiedo alla mia azienda e qui lo respirano».
Avete in programma il raddoppio dei metri quadri, raddoppierà anche la produzione?
«Il mercato ci chiede di più ma io non voglio fare troppe scarpe, quindi faremo selezione ampliando la gamma: non solo sandali ma sneakers, anfibi ed espadrillas sempre con i nostri ricami e nuovi materiali. Oggi produciamo 350 paia al giorno, passeremo a 500 paia. Abbiamo investito anche sulla distribuzione con nuovi uffici a Milano per gestire i mercati Arabi, la Cina e l’America».
E la distribuzione?
«Abbiamo 20 boutique, quattro in Italia a Milano, Roma, Venezia e Porto Cervo. Vogliamo arrivare a trenta nel prossimo triennio. Apriremo a Pechino, Macao, Shangai, Miami, Las Vegas, Hong Kong, Montecarlo».
Le nuove tecnologie sono arrivate in Caovilla?
«Le nostre scarpe continuano a essere fatte interamente a mano, ma i nuovi laser hanno raddoppiato la produzione. Un tempo si bucava la pelle a mano per poi infilare le perline. Se un tempo facevamo solo 10 paia, oggi grazie al laser ne facciamo 20».
L’e-store funziona?
«Siamo tutti schiavi dello smartphone, le persone vanno in negozio, provano e poi ordinano su web. I grandi magazzini Usa sono in crisi, non possiamo non vendere online e funziona».
A Fiesso D’Artico lavorano cento persone, altre dieci sono a Milano dove c’è lo showroom e la parte commerciale. E anche il nuovo volto di Caovilla: il figlio Edoardo.
Eleonora Vallin
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