Cartongesso, Maino striglia il Veneto

DI PIAVE. L’invettiva abita a Nordest. Dopo il vicentino Vitaliano Trevisan, dopo il goriziano Emanuele Tonon, ecco la voce potente e sarcastica di Francesco Maino, avvocato di San Donà, che in “Cartongesso” (Einaudi, p. 239, 19,50 euro) toglie la pelle al Veneto e alle sue mistificazioni. Francesco Maino inventa una lingua in cui l’impianto italiano si radica su parole in dialetto, racconta le peripezie disastrate e disastrose di un avvocato del Veneto orientale alle prese con una realtà disperante e tragicomica. Non c’è moralismo, ma invettiva, una invettiva violenta contro il disastro che abbiamo intorno, contro le ipocrisie, contro “la gelatina veneta” – dice lui con una immagine efficace. È come se Thomas Bernhard avesse incontrato Natalino Balasso, tanto che non si sa bene se viene da piangere o da ridere di fronte a questa analisi spietata di un Veneto in cui si rispecchia l’Italia intera.
«Io non sono uno scrittore – dice Francesco Maino – anche se ho sempre scritto. Ma scrivo per salvarmi. Come potrei sopravvivere con quello che vedo ogni giorno come avvocato penalista, se non scrivessi».
E da questa scrittura è nato un libro, che Francesco Maino ha mandato al premio Calvino, sorprendendosi poi per la vittoria e per la immediata pubblicazione da parte di Einaudi. «Stamattina – racconta – sono sceso e nella libreria sotto casa di mia madre c’era una vetrina col mio libro, ma per me rimane il fatto che è necessario scrivere, non pubblicare».
Maino scrive nei panni di un avvocato quarantenne come lui, Michele Tessari. «È un bipolare, un fustigatore imbevuto dei vizi che denuncia. Se la prende con marocchini e terroni ma non è leghista, dice cose di sinistra ma non è di sinistra, fa parte dello stesso sistema osceno che denuncia, è un eroe debole, che odia furiosamente perché ama quello che ha intorno». La scrittura di Maino si ancora saldamente alla tradizione veneta. «Quando Fellini chiamò Zanzotto per dare una voce a Casanova – dice – gli chiese di reinventare il veneto come lingua, ed è nato Filò. Io ho provato a fare qualcosa del genere, cercando una lingua grezza». E non nega Maino l’amore per Gadda, ma anche per Parise, per Buzzati, sfociato in una scrittura, però, estremamente personale nella sua veemenza: «Io racconto l’evidenza, quello che è sotto gli occhi di tutti. Silvio Trentin diceva che prima di fare le bonifiche in questo territorio bisognava fare una bonifica umana. Io amo disperatamente questa terra, ma cosa posso fare se non gridare».
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