Chiude Trussardi stillicidio continuo nelle vie del lusso

Macola: «Città poco appetibile, serve una riorganizzazione» Ascom e Confesercenti: «Vanno difesi i negozi storici»
Di Elena Livieri
TOME' - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - NEGOZIO TRUSSARDI CHIUSO VIA FILIBERTO
TOME' - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - NEGOZIO TRUSSARDI CHIUSO VIA FILIBERTO

Ha abbassato le serrande il negozio Tru Trussardi di via Emanuele Filiberto 32 che aveva aperto cinque anni fa, sulle ceneri di quella che era l’ala sud dello storico Bar Borsa, i cui muri sono di proprietà della Camera di commercio. Ennesima griffe che lascia Padova, dopo la chiusura, lo scorso aprile, del negozio Dolce & Gabbana di via San Fermo.

Ma lo stillicidio delle boutique del lusso in centro parte da molto più lontano. Negli ultimi anni, infatti, se ne sono andati anche Bulgari, Cartier e Morellato. Per tante vetrine che si oscurano, alcune - poche - si illuminano di luce nuova. È il caso dell’ex negozio Dolce & Gabbana dove fervono i lavori per la nuova apertura - in realtà si trasferisce dall’attuale sede tra piazza Insurrezione e via Filiberto - di Momonì.

E se le associazioni di categoria come Ascom e Confesercenti minimizzano l’impatto di tante serrande che si abbassano sulle strade del lusso, c’è chi punta il dito invece su una città poco attrattiva, carente nei servizi e orfana di una programmazione organica.

Ilaria Macola, titolare dei negozio Makola in via San Fermo e via Filiberto, oltre che a New York e Cortina, vede una spia di allarme: «Padova è sempre meno appetibile per le griffe del lusso, questo è un dato oggettivo perché il saldo fra chiusure e nuove aperture è negativo. Certamente ha influito la crisi, ma non basta per spiegare la dinamica a cui assistiamo. La nostra città ha perso attrattiva. Molti clienti lamentano la scarsità di parcheggi, il deficit di servizi. Un esempio banale? In via San Fermo non c’è nemmeno un bar. La rete commerciale del centro andrebbe ripensata, programmata. Caratteristica di molte città all’estero è la peculiare vocazione che ogni via del commercio si ritaglia. Da quella dell’antiquariato, a quella del tessile, dall’abbigliamento agli accessori per la casa: è così che si crea un centro commerciale all’aperto capace di attirare clienti». Dal suo osservatorio “privilegiato”, Macola vede una rete commerciale che va via via impoverendosi: «Non mi stupirei e, anzi, sarei pronta a scommettere, che lo stillicidio di boutique è tutt’altro che finito» conclude pessimista.

Una diversa lettura arriva dai rappresentanti delle associazioni di categoria: sia Nicola Rossi di Confesercenti che Patrizio Bertin di Ascom minimizzano sulle chiusure dei negozi del lusso: «Rispondono a strategie di marketing su cui poco contano le dinamiche locali.

«A creare più danni sono le chiusure dei negozi storici, come Orvieto in via Altinate o Testi per citare due esempi recenti. È lì che si perde una parte dell’identità commerciale» osserva Rossi.

«L’amministrazione, e non solo a livello locale» fa eco Bertin, «dovrebbe avere politiche più attente a questo patrimonio che è commerciale e sociale allo stesso tempo. La verità è che negli ultimi tempi si sta abbassando l’asticella della qualità dei negozi e questo provoca inevitabili contraccolpi».

ha collaborato

Felice Paduano

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