Cohousing, un tetto condiviso è la risposta all’emergenza casa

Quattro coabitazioni già partite con una ventina tra anziani, mamme sole e figli L’amministrazione cerca altri appartamenti e sistema una palazzina alla Mandria
TOME -AGENZIA BIANCHI- ESTERNO VIA ROVERETO 19
TOME -AGENZIA BIANCHI- ESTERNO VIA ROVERETO 19



Si definisce “cohousing” e significa coabitazione. È una delle strade scelte dall’amministrazione per provare a risolvere quelle emergenze abitative prodotte dagli sfratti. Non è la soluzione, almeno non quella definitiva. È un modello rubato ai paesi scandinavi che mette in simbiosi l’autonomia della casa privata e la socialità degli spazi comuni. In sostanza, mette nelle condizioni di vivere insieme persone in difficoltà all’interno di uno o più appartamenti, messi a disposizione da privati, enti o cooperative. A Padova sono partiti già quattro esperimenti di cohousing che stanno coinvolgendo una ventina di persone, soprattutto anziani e mamme sole con bambini.

OLTRE 100 SENZA CASA

A fine agosto l’assessore al Sociale Marta Nalin aveva fatto un appello, a cui poi era seguito anche un avviso esplorativo da Palazzo Moroni, rivolto ai privati: «Da un paio di anni, i casi di sfratto sono tornati a crescere. Tanto che ci troviamo a gestire 107 nuclei familiari. Ad alcuni di essi abbiamo trovato una sistemazione in alcuni appartamenti di nostra proprietà. Ma per gli altri abbiamo bisogno della collaborazione di privati, associazioni e cooperative», disse circa 4 mesi fa.

l’appello

Il bando pubblicato pochi giorni dopo chiedeva appartamenti da utilizzare per situazioni di emergenza, ed era rivolto a cooperative e associazioni, ma anche a privati cittadini interessati alla certezza di un affitto mensile per la propria casa sfitta, visto che a garantire sul pagamento sarebbe stato il Comune. «Dai privati sono arrivate pochissime disponibilità, ma ce l’aspettavamo, mentre enti e cooperative hanno mostrato molto più interesse e la città come sempre ha risposto in maniera positiva», spiega oggi Nalin. «Siamo riusciti ad avviare alcuni percorsi di cohousing che stanno procedendo molto bene. Il problema però rimane, perché questo serve a risolvere le emergenze e non mandare gente in albergo».

I PRIMI 19

Da settembre sono in 19 ad aver usufruito del cohousing. Sono quattro gli appartamenti già vivibili, dove sono state alloggiati mamme con due e tre figli a testa in due case, mentre in altre due ci sono anziani che non riuscivano a pagare l’affitto e senza una rete familiare. «Noi ovviamente per loro creiamo percorsi, li seguiamo, perché lo stimolo dev’essere quello di reinserirsi nella società, di essere in grado di sostenersi da soli e ritrovare la propria autonomia. L’idea è quella di farli rimanere il meno tempo possibile, perché non può considerarsi una situazione definitiva. Finora comunque non abbiamo avuto nessun problema e loro sono sicuramente più sereni», sottolinea Nalin. In base alle situazioni il Comune si accolla i costi, ma quando esiste un minimo di reddito le famiglie ovviamente partecipano alle spese.

DOVE

Ma dove vivono? In che zone della città? E come vengono selezionati? Chi offre una casa è subito soggetto ai controlli del Comune, che verifica la regolarità e la sicurezza strutturale. Vengono evitati i quartieri in difficoltà, per sottrarre a eventuali altri problemi chi arriva da anni di tensione. Entro un anno però, oltre ad eventuali e prevedibili altri appartamenti a disposizione, anche il Comune farà la sua parte. La giunta infatti ha già dato l’ok al recupero di un intero stabile di sua proprietà in via Rovereto 19, zona Mandria, dove verranno completamente ristrutturati (con telesoccorso, efficientamento energetico, antifurti e rilevamento fuga di gas e allagamenti) dieci alloggi da mettere a disposizione per il cohousing. Costo: 1,3 milioni che saranno prelevati da un contributo regionale ottenuto da Palazzo Moroni a fine 2019. —

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