Con il divino scolpito l’arte ferma il tempo

Da oggi al Diocesano sono esposti i tre Crocifissi di Donatello: legno e bronzo diventano un corpo che non smette di vivere
Di Virginia Baradel
BARSOTTI - INAUGURAZIONE MOSTRA GIOTTO AL MUSEO DIOCESANO
BARSOTTI - INAUGURAZIONE MOSTRA GIOTTO AL MUSEO DIOCESANO

di Virginia Baradel

I. l figlio di Dio che si è fatto uomo rappresentato da Donatello è una verità di fede e un vertice dell’arte d’ogni tempo. Nei tre crocifissi che lo scultore fiorentino ha realizzato nella sua vita, e che ora si mostrano nel Salone dei Vescovi al Museo Diocesano, legno e bronzo sono diventati un corpo che non ha smesso ancora di vivere; anatomia che respira nei muscoli in tensione; volto dolente che reclina sul petto tra le braccia allungate all’estremo. I secoli sembrano chiudersi a soffietto nell’istante in cui Cristo esala il suo spirito, le palpebre si abbassano, la bocca si schiude, i muscoli del collo cedono mentre quelli delle gambe ancora si tendono nello sforzo di tenersi sulla croce. L’istante di un istante. Quel lampo di verità che Donatello vede e rappresenta come nessun documento visivo potrebbe mai fare.

È una visione solenne eppure intima, tale da indurre a una sosta che azzeri il senso del tempo. L’unico modo per conoscere il divino è l’umano. Donatello è lo scultore che ha dato corpo a questa verità di fede, ha rimesso al centro, e in croce, l’uomo vivente. Il Cristo crocifisso della chiesa padovana di Santa Maria dei Servi è in legno di pioppo tramutato in un giovane corpo atletico e martoriato. Oggetto di grande devozione, risalente ad un episodio di sanguinamento nel 1512, è rinato nella sua originale integrità grazie al lavoro rigoroso e appassionato dei restauratori che, pur con tempi proibitivi, hanno curato le ferite del tempo e delle manipolazioni. Per prima cosa, dopo la fase diagnostica, hanno tolto la patina bronzea e restituito all’incarnato l’originale sfumatura rosata che, a seconda della luce, si scalda o s’illividisce, aumentando il palpito di una vita che scorre ancora. Tutte le fasi del restauro, a partire dalla Tac, sfilano su monitor. La tecnologia toglie ogni segreto ma amplifica la meraviglia. Il Crocifisso ligneo di Santa Croce a Firenze risale ai primi anni del Quattrocento. L’umanesimo di Donatello è ancora acerbo, ha ancora qualcosa di gotico, qualche reminiscenza del Ghiberti: il lungo perizoma è calligrafico e fluente, delicatamente sontuoso. Il volume del torace è stretto, elegante pur se provvisto di un’inedita solidità, il volto è realistico. Ha le braccia mobili perché nelle celebrazioni della Passione veniva “deposto” dalla croce e venerato dai fedeli disteso a terra. La leggenda vasariana narra che quel Cristo non piacque a Brunelleschi che rimproverò Donatello di aver messo in croce un contadino. A riprova, fece egli stesso un crocefisso ben più armonico che poi donò a Santa Maria Novella. Donatello, come sanno fare i grandi, incassò e fece tesoro della dimostrazione. Quarant’anni dopo, a Padova, darà prova di una prodigiosa maturità. L’attribuzione definitiva del Crocifisso della chiesa dei Servi di Maria ha gettato nuova luce anche sul soggiorno padovano. L’ipotesi di Francesco Caglioti è che potrebbe essere stata la commissione di quel Cristo da parte dei figli d’un insigne giurista dello Studio patavino colà sepolto, Paolo da Castro che fu attivo a Firenze e intimo dei Medici (prodighi di committenza ecclesiastica alla chiesa madre dei serviti della Santissima Annunziata), a chiamare a Padova Donatello. Il crocifisso poteva essere stato già intagliato a Firenze: solo qualche anno prima Donatello aveva spedito a Venezia, voluta dai Medici, la statua lignea di San Giovanni Battista. Dunque quella figura d’uomo dolente ma non vinto, la snella pienezza della muscolatura, il tratto d’inesorabile verità che emana da ogni particolare, anche i più prosaici come i peli sotto le ascelle, anticipano il Crocifisso bronzeo del Santo. Il Christus patiens dei Servi è più allungato e più delicato, è creatura di puro naturalismo, che si libera dalle movenze gotiche ma non ha ancora il passo tonico e le proporzioni del classicismo. Donatello lo ha intagliato nel legno e rifinito con gesso e stucco: l’ha generato con le sue mani. Il Crocifisso del Santo è un capolavoro in bronzo. Quel corpo sta morendo ma possiede ancora un’energia eroica e sembra reggersi con le proprie forze: morente, come il Galata, e già sottratto alla morte. Il Cristo dei Servi ha il volto scavato, gli occhi pesti, due canapi intrecciati per corona tra le ciocche dei capelli. È un atto primo. Il Cristo del Santo ha un’anatomia turgida e levigata. È più virile, più eroico, più classico: il modellato non sfigura nel rimando agli esemplari ellenistici. Il fiorente dibattito umanistico patavino di quegli anni può aver avuto la sua parte. Ma quel che conta è la potenza e la maestà dell’uomo nuovo dove la vita e la morte trovano misteriosa concordia.

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