Coronavirus: lavorare al tempo dell'emergenza

Dalle richieste di stop dei sindacati all'incentivo del telelavoro, dalle aziende colpite dal COVID-19 ai lavoratori stranieri che lasciano l'Italia: uno spaccato delle maggiori criticità del momento nelle varie province venete 

 

Non si arresta in Italia la lotta contro il coronavirus. Ma dopo le nuove disposizioni di Conte, l'interrogativo ora si estende al mondo del lavoro. Quali sono le norme di sicurezza da rispettare? Quando è necessario fermarsi? E quali sono le ripercussioni che il lavoro sta subendo al momento in Regione? Da Padova a Belluno, fino a Venezia: ecco quello che sta accadendo. 

Sono oltre una trentina ad oggi i lavoratori delle grandi imprese padovane positivi al coronavirus o in quarantena preventiva per evitare la diffusione del contagio. Una situazione che preoccupa tutti, dipendenti, dirigenti e imprenditori tra ansia da contagio, reparti svuotati dalla quarantena e uno stato degli ordini e degli approvvigionamenti che inizia ad incrinarsi. E mentre le Rsu chiedono la sospensione della produzione, le migliori imprese del territorio si sono attrezzate per affrontare le nuove disposizioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri.Arcelor MittalPause pranzo scaglionate anche in 4 differenti turni, saponi disinfettanti e mascherine (spesso per altro introvabili e quindi a disposizione solo di una parte dei lavoratori), riorganizzazione delle postazioni per evitare distanze tra le persone che siamo inferiori ad un metro e una costante attenzione alle notizie che arrivano dall'esterno, dai quei parenti e amici, che potrebbero essere venuti a contatto con soggetti positivi al virus.

È il caso dell'Arcelor Mittal di Legnaro dove un dipendente è in quarantena dopo che il proprio figlio ventenne è stato trovato positivo al coronavirus, o quello della Carel di Brugine dove 2 impiegati (il 90% del reparto è ad oggi in smart working) sono stati a contatto con soggetti positivi: un parente in un caso un medico nell'altro. Ma nel panorama delle imprese colpite ci sono altri nomi illustri della metalmeccanica padovana. ArnegIn Arneg ad esempio, un solo caso di positività per altro asintomatico di una dipendente che aveva partecipato alla cena di San Valentino a Limena, ha spinto l'azienda a mettere in quarantena volontaria almeno una decina di colleghi che nei giorni precedenti al 26 febbraio, giorno in cui è stato effettuato il tampone alla lavoratrice, avevano avuto con lei contatti diretti.

Nel frattempo tutti gli altri dipendenti che dichiarano di avere avuto relazioni con persone positive, direttamente o indirettamente, vengono posti in quarantena e sospesi dal lavoro con retribuzione. «Non abbiamo casi conclamati in azienda» spiega il direttore delle Risorse Umane di Arneg Armando De Crescenzo. «Abbiamo preso fin da febbraio tutte le precauzioni continuando a seguire rigorosamente le norme di volta in volta stabilite dalla Presidenza del Consiglio in materia di sicurezza. Ad ogni modo ci attiviamo con quarantene preventive e retribuite onde evitare anche solo il sospetto di diffusione del virus in azienda. Una scelta rigorosa e onerosa che siamo disponibili a sostenere per garantire la sicurezza e la salute dei nostri lavoratori e delle nostre stesse famiglie. Come noi, l'intero sistema imprenditoriale padovano sta lavorando con prudenza e con la massima attenzione alla salute di tutti: imprenditori, dirigenti e lavoratori».

Non diversa la situazione alla Maschio Gaspardo di Campodarsego, dove un caso di positività riscontrato nei primi di marzo ha fatto scattare la quarantena preventiva di 15 dipendenti del magazzino, che nel frattempo continua a produrre, tra tensioni e paure, seguendo tutte le normative del ministero. ElbiUn caso conclamato e 3 lavoratori in quarantena anche alla Elbi di Limena che produce attrezzatura per il giardinaggio, per la termoidraulica e per l'ambiente. «Non appena abbiamo avuto notizia della positività di un nostro collaboratore al Covid-19» spiega Paolo Brustio, ad di Elbi, «abbiamo messo in malattia lui e in quarantena retribuita tre colleghi. Ma non registriamo ad oggi alcun caso aggiuntivo. Abbiamo preso tutte le precauzioni previste della norma sia in materia di presidi di protezione individuale, sia cercando di assicurare distanze di sicurezza anche superiori ad un metro e organizzando il servizio mensa in ben 4 diversi turni per evitare assembramenti. In questo momento l'azienda produce a pieno regime ma per il futuro non sappiamo cosa potrà succedere: di fatto il settore del gardening è pressoché fermo mentre il telefono non squilla più come due settimane fa. Abbiamo un buon magazzino e possiamo continuare a produrre in vista della fine della crisi ma di sicuro non ci aspettiamo buone notizie a breve. Il resto d'Europa ad oggi ha un ritardo nella diffusione di circa 2 settimane rispetto all'Italia. 

Non possiamo che augurarci che tutto ciò finisca presto». VassilliNessun contagio ma auto quarantena per il presidente della Vassilli di Saonara, società che produce materiali sanitari per i pazienti ospedalieri. «Mercoledì scorso sono stato a cena con un amico che poi è risultato positivo al Covid-19» spiega Berto Vassilli, fondatore della Vassilli Srl. «Non ho febbre, non ho tosse né alcun altro sintomo. Non mi hanno neppure fatto il tampone visto che fino ad ora sto benissimo. E tuttavia l'azienda deve continuare a produrre, tanto più nel pieno di un'emergenza sanitaria come questa. Rispettiamo le regole che il governo ci ha imposto e non abbiamo alcun altro tipo di contagio. Mi sono messo in quarantena volontaria a casa. Non è mia abitudine stare con le mani in mano ma non posso fare altrimenti. Non ho dubbi che tutto procederà per il meglio pure senza il mio intervento. Dobbiamo garantire la massima solidità e serietà nelle forniture sanitarie».

A Belluno invece ha chiuso la Epta Costan di Limana e una parte di De Rigo Vision di Longarone. Qualcosa si muove anche a Thelios e Marchon. Le industrie bellunesi cominciano a prendere in considerazione la sospensione dell'attività produttiva per sanificare le fabbriche, oltre alle misure precauzionali antivirus che hanno già adottato. Oggi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte incontrerà i sindacati e probabilmente annuncerà la cassa integrazione per tutti i lavoratori. Procedura, questa, che potrebbe facilitare la chiusura delle aziende.

La Thelios, occhialeria, ha deciso di procedere di propria iniziativa. «La salute dei lavoratori è un valore supremo e può essere coniugato alle esigenze produttive mettendo in atto le dovute misure», afferma il Ceo Giovanni Zoppas. «Appena emanato il nuovo decreto abbiamo deciso di intensificare quanto stavamo già facendo, per cui è stata necessaria solo una limitata pausa che non ha mai pregiudicato l'operatività: Thélios è aperta e operativa e ha messo in atto con scrupolo tutte le misure coerenti con il decreto e quant'altro ha ritenuto necessario per ottenere la massima sicurezza dei collaboratori a tutti i livelli dell'azienda».CostanIeri la Costan è stata la prima delle aziende metalmeccaniche a rispondere all'appello di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil, arrivato dalle segreterie provinciali e da quelle nazionali. 

«Data la difficoltà generalizzata per un'esatta e puntuale applicazione nei luoghi di lavoro delle misure sanitarie prescritte dal Governo, a cui chiediamo norme chiare e cogenti per le imprese, e l'oggettiva penuria di dispositivi di protezione individuale utili a preservare i contagi, Fim, Fiom e Uilm ritengono necessaria - ecco il punto che viene sottolineato con particolare forza da Stefano Bona, segretario provinciale della Fiom - una momentanea fermata di tutte le imprese metalmeccaniche, a prescindere dal contratto utilizzato, fino a domenica 22 marzo, al fine di sanificare, mettere in sicurezza e riorganizzare tutti i luoghi di lavoro».Solo oggi lavorerà il primo turno per impossibilità di avvisare tutti della sospensione, ma anche il reparto accettazioni e spedizioni.«fermarsi o sciopero»I prossimi, infatti, dovrebbero essere i giorni del picco di contagio da coronavirus. I sindacati metalmeccanici chiedono alle aziende di concordare fermate produttive "coperte", innanzitutto con strumenti contrattuali o con eventuali ammortizzatori sociali, dove previsti dalla normativa. «In mancanza di queste assicurazioni - affermano i segretari provinciali di Fiom, Fim e Uilm -, dichiariamo fin d'ora l'astensione unilaterale nell'intero settore merceologico. A copertura di ciò proclamiamo lo sciopero per tutte le ore necessarie». Uno sciopero che viene ventilato a partire dalla giornata di lunedì, sempre che non ci sia la chiusura nazionale o quella territoriale delle aziende.

Oggi i sindacalisti dei metalmeccanici interpelleranno telefonicamente tutte le aziende dove sono presenti per chiedere la sottoscrizione di un accordo in tal senso. «Meglio ancora - è la proposta di Bona - se Confindustria si farà carico di questa necessità. Oggi (ieri per chi legge, ndr) l'abbiamo interpellata e l'associazione imprenditoriale non ci ha detto di no. Sappiamo che è una scelta difficilissima, proprio perché a livello governativo non ci sono ancora le garanzie degli ammortizzatori sociali, ma si tratta di una scelta ineluttabile».preoccupazioniIl sindacato si rende conto che chiudere una settimana è un problema per tante imprese. «Eventuali periodi di fermata inferiori - interviene Alvise Lovisotto, segretario provinciale della Fim Cisl - potranno essere concordati con la rappresentanza sindacale o con le organizzazioni sindacali territoriali, previa verifica dell'adozione di tutte le misure sanitarie possibili». 

Bona e Lovisotto spiegano di aver accelerato i tempi di queste richieste perché dopo il Dpcm che chiude gran parte delle attività commerciali, nelle fabbriche, anche quelle del bellunese, la preoccupazione è salita alle stelle, anche perché in alcune realtà non si riesce a stabilire una distanza di almeno un metro tra un lavoratore e l'altro.Problema che esiste per i pullman dei pendolari, con gli autisti che pretendono giustamente uno spazio libero intorno a loro e gli operai che sono costretti ad ammassarsi nella parte restante della corriera. «La pressione psicologica è tale - concludono Bona e Lovisotto - che l'atmosfera in azienda diventa insopportabile».

 C'è un punto del nuovo decreto di Conte che non fa stare tranquille le aziende, chiamate ad assumere «protocolli di sicurezza anti-contagio»: non è ancora chiaro cosa significhi nel concreto, e le associazioni degli industriali hanno chiesto maggiori chiarimenti al governo e alle aziende sanitarie. Tutti, nel frattempo, corrono per mettersi in regola con ciò che si sa già: distanze di sicurezza, telelavoro, dispositivi di protezione individuali.Ieri sono state ore convulse alla Texa di Monastier, a causa della scoperta di un caso di coronavirus non di un dipendente, ma di un suo genitore. È stata quindi disposta un'ora e mezzo prima la chiusura del turno di un singolo reparto produttivo, appena avuto notizia che un familiare di un lavoratore di quell'area era risultato positivo al test per Covid-19, in modo da effettuare immediatamente una completa sanificazione dell'ambiente come da protocollo di sicurezza interno.

Oggi i lavoratori torneranno regolarmente al lavoro. Misure di sicurezza analoghe, anche in assenza di casi ai dipendenti o ai loro familiari, sono state intraprese in tutte le principali aziende trevigiane, che non hanno interrotto l'attività. «Il gruppo, dove possibile, ha esteso al massimo la possibilità di "lavoro agile" per garantire la continuità dell'attività e la sicurezza dei lavoratori» spiega in una nota De'Longhi, «le strutture produttive e di distribuzione rimangono completamente operative». Da ieri ha iniziato a spingere forte sul telelavoro (o smart working, o lavoro da casa) anche Ascopiave, che ha lasciato a domicilio i suoi impiegati, ricorrendo alle ferie nei casi in cui non fosse possibile ricorrere agli strumenti informatici. Misure eccezionali anche nel colosso delle calzature di Montebelluna, Geox: tutti, dal presidente Mario Moretti Polegato all'ultimo assunto, si sottopongono alla misurazione della temperatura corporea prima di entrare in azienda al mattino, la mensa è stata organizzata in turni per evitare il rischio di affollamento, la capienza della sala riunioni è stata ridotta da 25 a 9 posti in modo da garantire il rispetto delle distanze di sicurezza, i magazzini continuano a lavorare a pieno regime e sono stati forniti di disinfettanti e dispositivi di protezione individuale. Maxi sanificazione, nei giorni scorsi, anche in Permasteelisa, a Vittorio Veneto, rimasta chiusa per una serie di operazioni a tutela di 800 collaboratori, 500 dei quali sono impiegati o tecnici. 

Chi ha una connessione veloce e dispone della strumentazione adatta può lavorare da casa. Anche Benetton Group ha varato una serie di misure eccezionali: «Relativamente allo smartworking la presenza delle persone in ufficio è stata ridotta al minimo possibile (circa il 60% in meno)» fa sapere l'azienda, «fin dal 24 febbraio è stato ampliato l'uso dello smart working, già ampiamente utilizzato in azienda negli ultimi due anni. Sono stati assegnati ulteriori nuovi pc per ampliare ancora di più la platea di chi da casa potrà collegarsi. Laddove non vi è stata la possibilità di dare nuovi pc sono stato attivati i computer personali per il collegamento da remoto. Sono state annullate tutte le riunioni nazionali ed internazionali. Sono stati annullati tutti i viaggi via aereo o treno. Nei comparti logistici è stato deciso di riorganizzare i turni di lavoro anche in questo caso con l'obiettivo di mantenere spazi adeguati e il più ampi possibile tra le persone durante le operazioni di lavoro e negli spogliatoi. Allo stesso scopo nelle varie mense dei siti di Ponzano Veneto e Castrette in una prima fase è stato controllato il flusso in ingresso, da lunedì l'azienda ha deciso di tutelare i suoi dipendenti con misure più restrittive evitando anche questa forma di assembramento. Ha chiesto la cortesia ai suoi dipendenti di consumare il pasto portandolo da casa chiudendo così le mense».

Ma i primi effetti si fanno già sentire. Venezia non fa più così gola ai lavoratori stranieri. Mercoledì pomeriggio è partito dall'aeroporto di Tessera un volo della Emirates carico di stranieri che tornavano a casa, nella loro patria. Tra questi almeno duecento bengalesi che una volta a Dubai volavano poi su Dhaka, per rimanere nel Paese da dove sono scappati molti anni fa, fino a che non arriveranno tempi migliori. Emirates ha riempito un volo praticamente solo per loro visto che le richieste erano tante. E così una volta raccolte tutte le prenotazioni e staccati i biglietti, li ha caricati e portati alla volta di Dubai, dove verranno sottoposti ad ulteriori controlli e da dove poi prenderanno altri collegamenti che li porteranno finalmente a casa, come volevano. Le poche persone rimaste a presidiare l'aeroporto, mercoledì, hanno visto arrivare tutti quei passeggeri, con tanto di valigie al seguito, il trolley in una mano, i bambini dall'altra.Due della compagnia di bengalesi che aveva prenotato l'aereo e già pronti per partire, hanno dovuto fare dietrofront, perché sono stati trovati con qualche linea di febbre forse dovuta al fatto che erano sudati e si erano sforzati tra pacchi e check-in. Niente coronavirus, ma non sono comunque potuti partire, hanno dovuto salutare i loro amici e riprendere la via di casa. Molti dei cittadini partiti appartenevano alle comunità bengalesi di Mestre e di Marghera, quelli che non lavorano alla Fincantieri, per intenderci, per lo più commercianti in difficoltà.In tanti, dunque, scelgono di tornare in patria, dal momento che non sanno cosa accadrà. In parecchi lavorano come lavapiatti nelle cucine dei ristoranti di Venezia, oppure negli hotel oramai praticamente deserti della città di terra e di acqua. Sono a casa da un po' e non hanno certezze. 

 Altri ancora, invece, sono venditori ambulanti i cui banchetti sono stati chiusi, a Mestre come in centro storico.Senza lavoro - non si sa fino a quando - non possono restare perché da sfamare ognuno di loro ha come minimo una famiglia numerosa. Tanti, inoltre, avevano contratti a tempo, forme di lavoro precarie, pertanto sanno che una volta finita l'emergenza, può darsi che il posto che avevano non ci sia o non serva più. Kamrul Syed, il portavoce della Venice Bagla School, ha postato il video sul proprio profilo, salutando i connazionali e augurando loro buon viaggio. Pur di tornare a casa, sono anche disposti a rimanere in quarantena, se del caso, una volta atterrati. La maggior parte dei bengalesi lavora negli hotel di Venezia che, come noto, sono tutti chiusi per l'emergenza coronavirus. Trascorreranno il Ramadan, che quest'anno arriverà ad aprile, con i loro familiari.

 

 

 

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