Corteo contro lo sciopero «Noi vogliamo lavorare»

Gottardo spa, 8 mancate conferme al lavoro fanno scattare la protesta dei Cobas Ma 150 dipendenti dell’azienda organizzano una controprotesta anti-facchini



Torino 14 ottobre 1980. A distanza di 39 anni, ieri la Gottardo spa diventa protagonista di una sorta di nuova marcia dei 40 mila. Questa volta a Padova, in un tessuto economico composto da una rete di piccole e medie imprese, di cui Gottardo, con i suoi 4.300 dipendenti e il suo miliardo di euro (circa) di fatturato è una delle più grandi. Da tre giorni, i dipendenti della catena degli appalti Tigotà iscritti a Adl Cobas a Padova e a Sì Cobas a Broni a Pavia sono in presidio davanti ai cancelli dell’azienda: oggetto del contendere 8 mancate conferme per altrettanti lavoratori a termine (dei 200 su un totale di 270) della sede logistica di Broni. La risposta è arrivata dai dipendenti dell’azienda che hanno organizzato un contro-corteo chiedendo di lavorare.

«VOGLIAMO LAVORARE»

A partire dalle 10 del mattino, mentre una cinquantina di facchini iscritti ad Adl Cobas dei magazzini Gottardo di corso Spagna proseguivano il loro presidio in solidarietà ai colleghi di Broni, oltre 150 lavoratori della sede direzionale di corso Spagna sono scesi in strada vestiti di “verde-azzurro Tigotà”, armati di cartelli e striscioni. Impiegati, quadri e dirigenti, informatici, consulenti e commercialisti, capi area e qualche commessa, hanno svuotato gli uffici dell’azienda in Galleria Spagna scandendo lo slogan: “Vogliamo Lavorare, Vogliamo Lavorare!”. Un concentramento sotto la sede, le foto di rito e poi un corteo compatto ha preso la strada dei magazzini poco distanti in Corso Spagna, fino a fermarsi a due o trecento metri dal presidio dei Cobas ancora una volta agitando cartelli e scandendo i propri slogan. Un ampio cordone di polizia a fare da cuscinetto tra due categorie di lavoratori: da una parte quelli della catena degli appalti, quasi tutti immigrati e figli di immigrati, dall’altra gli assunti direttamente dall’azienda, tutti o quasi italiani. Poche le donne tra i facchini in presidio, molte di più tra i manifestanti della Gottardo, l’età media complessiva non molto dissimile. Qualche fischio, qualche slogan gridato, ma nulla di più per un confronto a lunga distanza in cui le voci degli uni arrivavano a stento alle orecchie degli altri. Nel frattempo anche un gruppo di dipendenti dei magazzini, dentro i cancelli della struttura logistica di Corso Spagna, ha inscenato una piccola protesta: qualche decina di minuti schierati di fronte ai colleghi in presidio, le stesse parole d’ordine del manifestanti Tigotà. «Vogliamo assolutamente tornare a lavorare» spiega Eva Maiolati, responsabile ufficio legale della Gottardo Spa anche lei in manifestazione con i colori verde-azzurro Tigotà.

«posti a rischio»

«Ci sentiamo come pesci a cui hanno tolto l’acqua. Tutte le colleghe dei punti vendita hanno paura di perdere il posto di lavoro, perché bloccando i magazzini purtroppo la merce non arriva nei nostri punti vendita e le persone saranno costrette prima o poi a rimanere a casa. Parlano di 4200 famiglie e di una logistica gestita con regolare contratto di appalto da una società che non è la Gottardo Spa ma rispettivamente Logup Srl per Padova e Winup per Broni. Le autorità ci devono aiutare. Dobbiamo potere alzarci la mattina e sapere di potere venire a lavorare serenamente, nei diritti di tutti». Una protesta che ha visto scendere in strada tutta la dirigenza di Gottardo e la cui portavoce altri non era che la direttrice delle Risorse Umane dell’azienda Stefania Casonato.

«AUTOLESIONISMO»

«Il blocco dei magazzini di Broni e Padova coinvolge uno sparuto gruppo di iscritti al Sì Cobas, dipendenti di due società esterne che lavorano in appalto» recita una nota dell’azienda «Da lunedì stanno impedendo ai camion che riforniscono i punti vendita Tigotà di caricare e scaricare la merce. Stanno bloccando la nostra attività aziendale per il mancato rinnovo di 8 contratti a termine su cui la nostra società non può intervenire direttamente. Pur rispettando il diritto di scioperare non possiamo accettare che sia impedito ai nostri collaboratori di fare il proprio lavoro e non possiamo tollerare che questa situazione danneggi ulteriormente la nostra azienda. Un blocco di questo tipo rischia di compromettere la regolare distribuzione delle merci, e mettere in crisi la continuità aziendale e la filiera che ruota attorno al nostro marchio. Stiamo assistendo a un paradosso e un capolavoro di autolesionismo a cui le forze sane dell’impresa, del sindacato e delle istituzioni devono reagire e devono farlo prima che sia troppo tardi. —



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