Crea opere d’arte con gli scarti

Metalmeccanico in pensione plasma rame, ferro e argento: ecco la Basilica del Santo in miniatura
Di Elvira Scigliano
BARSOTTI - ORLANDO CORRO'
BARSOTTI - ORLANDO CORRO'

GUIZZA. Arte, manualità e un sogno: realizzare le miniature di alcuni tra i luoghi più belli d’Italia. Orlando Corrò, 78 anni, metalmeccanico, ha realizzato il suo sogno armato di pazienza e fiamma ossidrica nel tinello di casa. Dando così alla luce una luminosa basilica del Santo in rame e una dettagliata San Marco in ferro e argento. Due opere d’arte, oggi esposte nel salotto della Guizza, dove il maestro operaio vive con la moglie Franca.

Con ferro, rame e argento è stato da subito colpo di fulmine. Dapprima come metalmeccanico in un’azienda a Trieste, poi come artista, negli anni Settanta.

Tutto è cominciato da un rovinoso incidente d’auto che obbligò Orlando al letto per alcuni mesi e una matassa di cavi di acciaio inossidabile che andavano smaltiti: «Sono una di quelle persone che non butta via niente», racconta, «ché può sempre servire. Così con quei fili, a casa, in cucina, ho cominciato a trasformare le idee, che mi hanno sempre affollato la testa, in oggetti».

Prima una violetta di rame, poi una margherita, ancora una rosa ed ecco la ricerca ambiziosa dei disegni delle cattedrali. E dopo quasi dieci anni una straordinaria Basilica fa mostra di sé in una teca nel salotto di casa. Già ospitata dai frati per un mese nel loro refettorio. Accanto niente meno che San Marco, venti lunghi anni di lavoro, con tanto di vetrate e rosoni in plexiglas disegnati a mano. Gli addobbi, a cominciare dalle statuine minuscole e dalle punte, sono in stagno, zinco e un’altra lega leggera. Le cupole sono tutte in rame. I dettagli in argento e foglia d’oro. Unica eccezione “nobile”, il più è materiale di scarto. Tra divani e credenze è un tripudio di cultura romana, bizantina e veneziana. Guardandosi attorno si scopre una realistica torre di Pisa, naturalmente pendente e la Tour Eiffel in un ginepraio di ferro che viene quasi voglia di abbracciarla. San Marco Orlando l’ha realizzato tra il 1991 e il 2013 in scala 1 a 100. È, manco a dirlo, un modello unico. Più veloce per il Santo: dal 1980 al 1988. Il resto sono maschere veneziane, giocattoli di legno tra i quali spicca una giostrina interamente in noce. Orlando, uno sguardo furbo dietro la barba bianca, non è un uomo di molte parole. Anzi. Usa appena quelle necessarie. Altra storia le mani. Le sue dita, abituate alla fatica, lavorano al suono della piccola radiolina che tiene sempre accesa in laboratorio. Dopo la cucina di casa infatti è seguito il garage che è diventato presto il regno dell’artista e la signora Franca ha tirato un respiro di sollievo, dopo averci rimesso il tavolo, bruciato dalla fiamma ossidrica. «Franca ogni tanto s’arrabbia», ammette il maestro, «e mi prende a male parole». «Ci credo», sbotta la signora, ma è più divertita che seccata, dopo 52 anni di matrimonio. «In cucina tutte le sere era grin e gron e la fiamma ossidrica a rovinarmi il tavolo. Era così preso che mangiava con la sua opera a fianco». Vuoi il lavoro decennale, vuoi la fatica sudata su ogni pezzetto di metallo, ma Orlando ammette d’essere gelosissimo delle sue opere. Il cui destino è già segnato: sono destinate ai figli.

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