Da Murano alla storia la vita di Giulio Bertola nei grandi cori italiani

di Silvia Zanardi
Nella musica non esistono bacchette magiche. Anche se può sembrare che un direttore d’orchestra, con la sua bacchetta, riesca miracolosamente a guidare strumenti e voci disegnando nell’aria una mappa dell’armonia. Nell’esecuzione ben riuscita di un’opera, di ultraterreno c’è solo l’amore incondizionato per la musica e la perfezione, che figure come Giulio Bertola coltivano fedelmente per tutta la vita. È questo sentimento profondo che, da alcuni mesi, il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia ha acquisito, attraverso un fondo, dalla famiglia di uno dei più celebri e acclamati direttori di coro italiani. Ed è un vero e proprio ritorno a casa, perché Giulio Bertola, nato nel 1921 a Murano, si è diplomato in strumentazione per banda, direzione corale e composizione al conservatorio di Venezia e, dopo una vita da pendolare fra l’Arena di Verona, l’Accademia di Santa Cecilia a Roma, di cui è stato nominato Accademico, il Teatro Massimo di Palermo, la Rai e la Scala di Milano, torna in laguna, a otto anni dalla sua scomparsa, con un prezioso patrimonio di storia. La sua storia diventa parte della storia del Conservatorio; diventa pubblica la figura di un veneziano che ha sempre lavorato dietro le quinte, ma che con il suo talento e la sua passione ha regalato ai teatri italiani momenti di grandissima emozione.
Bertola - che parallelamente alla direzione corale si è dedicato alla direzione d’orchestra - è stato una figura salvifica per i cori scalcinati di mezza Italia nei tempi d’oro di grandi maestri come Gavazzeni, Celibidache e Karajan, per il quale ha preparato i cori per il concerto Rai in onore di papa Paolo VI. Erano gli anni in cui non c’era l’alta velocità e il direttore del coro veneziano, qualunque fosse la città in cui stava lavorando, saliva sui treni regionali per attraversare il Paese e trascorrere tutti i fine settimana a Milano con la famiglia e l’amata moglie Elisabella.
Dalla piccola Murano, era partito negli anni Cinquanta per vivere viaggiando fra il Nord e il Sud Italia e stabilirsi nel capoluogo lombardo, dove ha collaborato per vent’anni con la Rai; nel 1983, è diventato direttore stabile del Coro della Scala. Sono i figli, Manuela e Daniele, ad avere portato il suo fondo a Venezia, guidati dall’affetto che li lega al padre. Hanno raccolto rassegne stampa, fotografie, locandine, spartiti, scritti e ricordi di una carriera lunga e felice; avrebbero potuto lasciare tutto a Milano, città che nel 1989 lo ha premiato con l’Ambrogino d’oro, ma hanno preferito riportarlo a Venezia.
Il direttore del Benedetto Marcello, Franco Rossi, vede l’acquisizione come il ritorno di una grande figura da far conoscere anche nella sua umanità: «Da settembre, sul sito del conservatorio, il fondo sarà fruibile in versione digitale» dice. «Il ruolo del maestro del coro, mai esaltato a dovere, va raccontato. È una figura che lavora dietro le quinte di un’opera, nella zona d’ombra dove lo stesso Bertola ha modellato le voci di cori passati alla storia». E storica, infatti, è rimasta la preparazione del coro curata dal maestro Bertola per l’esecuzione della “Messa di Requiem” di Verdi diretta da Riccardo Muti con Luciano Pavarotti nel 1987, alla Scala. Di Verdi, a Milano, è entrata nella leggenda “I Lombardi alla prima crociata”, diretta da Gavazzeni nel 1984: al termine della struggente pagina corale “O Signore, dal tetto natio”, l’entusiasmo del pubblico è stato tale da costringere il direttore a concedere il bis, infrangendo la regola non scritta, ma rispettata alla Scala fin dai tempi di Toscanini, di non ripetere mai brani di un’esecuzione. La storia si è ripetuta, due anni dopo, quando anche il maestro Riccardo Muti, impossibilitato a contenere le emozioni del pubblico, ha concesso il “bis” al coro del “Va’ Pensiero” durante il Nabucco, che inaugurava la stagione operistica scaligera.
Si racconta che Giulio Bertola abbia fatto di tutto per portare le sue voci alla perfezione, al punto da indossare un mantello nero e un cappello scuro per nascondersi dietro a un coro e aiutarlo a battere il tempo. Non è dato sapere quando e dove questo sia accaduto ma c’è da immaginare che, anche in quella occasione, il pubblico abbia sentito i brividi.
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