Da viaggiatrice a clandestina la discesa negli inferi di Eris

la storia
Respinta da una città che lei chiamava Europa. Ridotta a vivere da bracciante clandestina nel ghetto di Matera. La triste storia di Eris Petty Stone, ragazza nigeriana di 28 anni, all’anagrafe Omowunmi Bamidele Adenusi, è quella di una madre che prova a cambiare rotta e va a cercare fortuna altrove. È purtroppo anche il calvario di tante altre donne e tanti altri uomini a cui non viene riconosciuto il diritto di rimanere in Italia. Vite risucchiate da un effetto domino micidiale che toglie diritti e cancella speranze. Una girandola di traversie e patimenti, fino all’ultimo straziante fermo immagine: quello di un corpo carbonizzato tra le baracche dei senza-tutto.
Appena quattro anni fa Omowunmi Bamidele Adenusi sceglieva il nome Eris per mostrarsi bella e sorridente nel profilo Facebook aperto a Padova per tenere i contatti con la famiglia rimasta a Lagos, in Nigeria. «Mi ha salutato dicendo che sarebbe andata in Europa, ci sentivamo quasi ogni giorno» racconta la figlia quattordicenne, che mercoledì mattina ha ricevuto la telefonata che un figlio non vorrebbe mai ricevere. Era un facilitatore culturale di Potenza. Portava la notizia della morte di sua madre. Bruciata in un incendio probabilmente causato dallo scoppio di una bombola nella Felandina, a Metaponto di Bernalda, un paesino della provincia di Matera dove si è creato questo ghetto. Ci vivono circa cinquecento migranti in condizioni precarie. Sono braccianti agricoli in nero, messi a lavorare con paghe da fame e senza tutele.
Sorrideva Eris nelle foto che pubblicava su Facebook, accarezzava le treccine, incoraggiava i familiari rimasti in Nigeria. Sperava di farcela ma nel 2015 è arrivato il primo diniego dalla commissione territoriale di Padova che deve concedere o meno lo status di rifugiato. Ha fatto ricorso, Eris. Bocciato pure quello. Diventa clandestina, irregolare sul territorio nazionale, una condizione pericolosa perché l’espulsione può scattare a ogni controllo di polizia. Allora decide di lasciare Padova per confondersi là dove non esistono nomi, identità, diritti civili. Sceglie di nascondersi in uno dei ghetti di questa Italia dal pugno di ferro, che estirpa ma non semina. Dormiva in un materasso, cucinava usando una bombola di gas collegata artigianalmente a un fornelletto, si spaccava la schiena in campagna ma nelle foto per la sua bambina era sempre raggiante. «L’unica cosa che so è che mia madre viaggiava e ora non c’è più», si dispera la figlia. Un’altra piccola stella tradita dall’Europa feroce. —
E.FER.
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