Alla Zilmet di Limena scritte razziste e svastiche: operaio sospeso per tre giorni

Le frasi indirizzate ai lavoratori stranieri della fabbrica erano apparse nei bagni maschili. L’autore aveva ammesso la gravità dei fatti. Gli avvocati Finocchiaro e Prediali: «Sanzione equilibrata che ha tenuto conto del suo ravvedimento»

Cristina Genesin
Alla Zilmet di Limena operaio sospeso tre giorni
Alla Zilmet di Limena operaio sospeso tre giorni

Insulti razzisti e nazisti contro i lavoratori stranieri della fabbrica nei bagni maschili della Zilmet, l’azienda con sede a Limena.

Dopo l’identificazione dell’autore (un operaio di Campo San Martino), si è concluso il procedimento disciplinare a suo carico: tre giorni di sospensione dal lavoro e dallo stipendio.

Sanzione non eccessiva anche perché l’interessato aveva ammesso la gravità dei fatti a lui contestati ribadendo la sua «piena e incondizionata ammissione di responsabilità per le scritte, la piena consapevolezza dell’errore e la gravità delle frasi e dei simboli apposti con la necessità di una sanzione disciplinare».

Ad assisterlo nella vertenza gli avvocati Roberto Finocchiaro e Monica Prediali che hanno sottolineato come il loro assistito «non ha mai mirato a negare o a sminuire la gravità dei fatti contestati».

I legali avevano chiesto all’azienda di considerare una serie di elementi attenuanti «fondamentali per una valutazione completa e proporzionata della sanzione da irrogare».

Tra questi, l’assenza totale di precedenti disciplinari in una lunga carriera aziendale, sempre svolta con diligenza e professionalità, un sincero e immediato pentimento, accompagnato dalle scuse.

Sempre i difensori hanno portato all’attenzione un paradosso personale del lavoratore: in passato era stato lui stesso «oggetto di attacchi e discriminazioni per le proprie origini meridionali».

Certo non una giustificazione ma pur sempre «un fattore utile a delineare un quadro più completo della sua personalità e delle fragilità che lo avrebbero condotto a un gesto deplorevole, ma non rappresentativo di un odio radicato» hanno sottolineato i legali.

È la mattina del febbraio scorso quando le scritte vengono scoperte nei bagni maschili dello stabilimento dove l’operaio finito sotto accusa lavora allo stampaggio piastre. Un episodio che si ripete il 6 giugno successivo.

Sono i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e della Rsu (organismo sindacale) a segnalare l’accaduto all’Ufficio personale. E altrettanto fa Fiom Cgil.

Ecco gli insulti: «A morte di stranieri»; ancora: «Noi siamo il Veneto del 3° Reich»; «A morte nigeriani e senegalesi» richiamando la comunità di Forza Nuova e disegnando svastiche. Tanto che l’azienda nella contestazione di addebito scriverà come «un simile comportamento contrasta non solo con i più elementari doveri di diligenza, correttezza e buona fede, ma altresì con quei valori di rispetto reciproco e di sereno viver comune, parte fondante della nostra azienda».

Inizia la ricerca del responsabile (o dei responsabili) di fronter anche a un’eco mediatica a livello nazionale.

E il 10 giugno il lavoratore si presenta dal direttore dello stabilimento e confessa di essere il responsabile delle scritte risalenti al mese di febbraio. Tuttavia l’azienda contesta all’operaio entrambi gli episodi parlando di una condotta «enormemente grave sotto molteplici profili» nella lettera di contestazione trasmessa il 16 giugno in quanto avrebbe contribuito a «creare un clima di tensione che nuoce alla produzione aziendale e al sereno vivere comune del personale».

E definisce le azioni attribuite al dipendente come «irresponsasbili, sconsiderate, ingiuriose e irrispettose, financo penalmente rilevanti».

I legali hanno cercato di riportare a misura il tutto sottolineando un quadro umano complesso e le fragilità del lavoratore, a suo tempo discriminato per la sua provenienza dal Sud.

«L’epilogo dimostra la capacità dell’azienda di gestire una situazione complessa con equilibrio e professionalità, senza cedere alle pressioni di un’intensa eco mediatica» hanno puntualizzato gli avvocati Finocchiaro e Prediali, «L’azienda, ferma nella condanna dei contenuti, ha saputo bilanciare la necessità di una sanzione con la considerazione della persona, della sua storia lavorativa e del suo sincero ravvedimento, applicando i principi del diritto del lavoro in modo ponderato». 

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