Donazione d’oro alla Guggenheim nel mito di Peggy

Un terzo della collezione Schulhof arriva dagli Stati Uniti: i maestri dal 1950 al 2000
Di Paolo Coltro

di Paolo Coltro

VENEZIA

È il cittadino britannico più veneziano di tutti, se si eccettua Lady Frances Molyneux Clarke, vedova dell’ex ambasciatore sir Ashley e lei stessa, da due anni, ambasciatrice della cultura veneta. Dal 1973 Philip Rylands condivide la Venezia abbandonata goccia a goccia dagli abitanti, la marea montante dei turisti, i calighi e le acque alte, lo sbarco della corazzata Pinault e il passaggio delle grandi navi. Arrivato per il dottorato di ricerca in arte antica, da 33 anni meno qualche giorno è alla Guggenheim Collection, in quel palazzo che sembra un bunker ma è il bunker più aperto del mondo. «Sono il dipendente più longevo della Fondazione» dice, e se si pensa che Guggenheim è a New York, Las Vegas, Bilbao, Berlino e Abu Dhabi oltre che Venezia si capisce che il record non è dovuto al trascorrere del tempo, ma ad un lavoro consolidato negli anni. Tutto è cominciato all’indomani di una terribile notte d’acqua alta, quella tra il 21 e il 22 dicembre 1979, un sabato. L’acqua aveva invaso il piano terra di Ca’ Venier dei Leoni, sede della Collezione. L’indomani pomeriggio, Peggy Guggenheim era morta all’ospedale di Camposampiero. Inglese di Venezia, Philip era andato a salvare le opere minacciate dall’acqua. È rimasto, e la prima cosa che ha fatto è stato riuscire a seppellire Peggy nel giardino del palazzo, a casa sua. Un’emozione e una piccola battaglia burocratica: c’erano solo un paio di precedenti, nel Novecento. «L’ho messa io sotto quell’erba», e Peggy c’è sempre, c’è ancora: nell’unico, piccolo, discreto ritratto nel suo ufficio, nelle sale con i “suoi” artisti, soprattutto nel mondo. «Peggy è molto più famosa adesso di quand’era viva» testimonia Rylands, che non ne è l’esegeta della memoria, ma il prosecutore dell’opera e dell’immagine.

Così Peggy Guggenheim, per merito di Rylands, è diventata un esempio tangibile di immortalità. Vive oltre il proprio tempo, oltre i suoi giorni europei, americani e infine veneziani; oltre gli artisti, gli amanti, i mariti, oltre il figlio e oltre i suoi cagnolini: vive nei pensieri dei visitatori, e nelle pubblicazioni della Collection, perfino in quelle domeniche mattina di Kids Days in cui i bambini veneziani sentono nominare per la prima volta zia Peggy. Non è una questione secondaria, questa dell’immortalità: che non è presunzione, ma solo voglia di continuare a vivere in altra forma. Dev’essere stato questo il messaggio recepito anche da Hannelore Schulhof, che con il marito Rudolph ha costituito negli anni e negli Stati Uniti una importantissima collezione d’arte moderna. Hannelore Schulhof è morta nel febbraio scorso, a novant’anni: e per testamento ha stabilito che un terzo delle sue opere vengano donate alla Guggenheim Foundation, ma con il vincolo rigoroso e preciso che vadano a Venezia, a casa di Peggy. Hannelore l’aveva conosciuta, ammirata, emulata. Forse è l’ombra di lunga di Peggy, di sicuro il lavoro di Philip Rylands. Che, a quanto pare, ha dovuto vedersela con un concorrente di tutto rispetto, il Metropolitan Museum di New York. Ha vinto Rylands, e le opere stanno arri. vando in questi giorni a Venezia. Rudolph e Hannelore Schulhof, tedeschi con radici ebraiche, si stabiliscono presto negli Stati Uniti. La loro è una vita di successo americano, diventano collezionisti e, senza volerlo, acquistano opere più o meno da quando Peggy Guggenheim smette di acquistare. Dagli anni cinquanta fino alla fine del millennio, gli artisti più importanti. «Così - dice Rylands gongolando - oggi la collezione si completa e si prolunga, abbiamo una generazione in più». Non dev’essere stato facile “aggiudicarsi” quel terzo di opere, e soprattutto, come confessa il direttore, poterle scegliere in prima persona. Ma così è successo e ora ottanta opere, molte fondamentali, prenderanno residenza definitiva a Venezia. La collezione Schulhof è un corpus di circa 350 pezzi, dei quali circa duecento sono decisamente notevoli. Sarà un caso che qualche tempo fa la Guggenheim Foundation ha pubblicato un volume sulla collezione dei due coniugi tedesco-americani? Sarà un caso che Hannelore da anni era socia della Peggy Guggenheim Collection e che sia stata spesso a Venezia? È vero che nel 2004 c’era stata una promessa di donazione, ma si sa come vanno le cose di successione. Sembra che gli eredi Schulhof debbano pagare un mezzo bilione di dollari di tasse, all’amministrazione di New York e al governo americano. Ai sei eredi della famiglia va un cospicuo patrimonio e una parte delle opere della collezione. E hanno già annunciato che, per pagare le tasse, metteranno all’asta numerose opere. Hanno incaricato Christie’s: alle aste di novembre, a New York, andranno all’incanto 63 opere, per un valore complessivo stimato di 25 milioni di dollari. A parte la curiosità implicita (Christie’s è di proprietà di François Pinault, che ospita la sue collezioni a Palazzo Grassi e alla Punta della Dogana... il mondo è piccolo) la stima dà la dimensione anche economica della donazione arrivata alla Peggy Collection. Ma non per questo brillano gli occhi di Philip Rylands, che sarà anche manager, ma resta studioso d’arte, affascinato dal moderno ma anche dalla pittura veneta dei secoli d’oro. Con la donazione, rimane intatto il nucleo della stessa collezione Schulhof. Dice Rylands: «Con questo arrivo raddoppiamo le acquisizioni post Peggy. Dal 1980 in poi l’avevamo arricchita con circa 80 opere. Ora queste arrivano tutte insieme». Secondo Lisa Jacobs, curatrice dalla collezione Schulhof, sono esattamente 83. Altre 14 andranno all’Israel Museum di Gerusalemme.

Per Venezia, Rylands ha scelto, e così circa un terzo delle opere sono dipinti, un terzo sculture e un terzo disegni. «Ho dovuto lasciare alcune cose di grandi dimensioni, qui da noi non ci stavano. Ma avremo testimonianze strepitose: cubismo, astrazione, surrealismo, espressionismo astratto americano, opere di europei: c’è tutto». Alcuni nomi filtrano, e sono gli artisti conclamati: Jaspers Johns, Mark Rothko, Cy Twombly, Ellsworth Kelly, Robert Indiana, Sol Lewitt. Ma anche Joan Mirò, e le sculture di Richard Serra. Anche italiani, di sicuro Lucio Fontana.

C’è un gran daffare in questi giorni a Ca’ Venier dei Leoni: bisogna fare spazio, la mostra della donazione si inaugurerà il 12 ottobre con una giornata free, ad ingresso libero per tutti. Una festa. Per l’occasione si farà un po’ più in là la collezione Mattioli, un’ottantina di opere stanno per essere prestate al Cile, per una grande mostra a fine ottobre a Santiago. Philip Ryland non sta più nella pelle, e la Collezione adesso sta stretta nei 4000 metri quadrati di Ca’ Venier e adiacenze. «Dobbiamo trovare nuovi spazi», dice Rylands. È quello che ha fatto per trentatrè anni, e si continua.

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