Dorona, la seconda vita l’uva dei dogi all’Expo

Dal ritrovamento archeoenologico di un vitigno ritenuto scomparso nasce “Venissa”. Un bianco creato da Bisol in un gioiello di bottiglia firmata Moretti

«Nel 2013 l’Italia era detentrice del maggior numero di vitigni al mondo, con quasi 380 varietà tipiche, 25 delle quali solo in Veneto». Lo spiegano le archigrafie del “Giardino della Biodiversità” del Padiglione Italia all’Expo 2015: un microcosmo verde di eccellenze raccontate attraverso l'evoluzione e la biodiversità agrarie. All'interno del Giardino ogni regione è rappresentata da una pianta tipica, che per il Veneto non poteva che essere la Vitis Vinifera, la vite. E ad emblema dell’emblema della biodiversità veneta, i curatori del Giardino (realizzato con la consulenza scientifica dell’Orto Botanico di Padova, altra eccellenza veneta) viene opportunamente citata la Dorona, un’uva oggi coltivata esclusivamente a Mazzorbo, quasi un’appendice di Burano della quale pochissimi ricordavano l’esistenza, fino a pochi anni fa, oggi meta di un turismo enogastronomico d’alta gamma. Merito di quell’uva della quale l’occhio allenato di un “viticoltore di razza” e uomo di concretezza colse l’enorme potenzialità quindicina d’anni fa. Lui è Gianluca Bisol, direttore generale della celebre azienda prosecchistica di famiglia (ora partecipata al 50% dal colosso enologico Lunelli) che nel 2001 scoprì per caso nella vicina Torcello alcune piante dell’antico vitigno autoctono (della famiglia della Garganega) considerato perduto dopo l’alluvione del 1966.

La suggestione di un ritrovamento “archeoenologico” unita a un’intraprendenza commerciale fuori dagli schemi, dettò subito le coordinate di una nuova vita per la Dorona, che Gianluca con il fratello Desiderio, enologo, trapiantarono a Mazzorbo, dove ha trovato un felice habitat in una vecchia vigna murata di circa un ettaro. Da quell’uva da cui nasceva il nettare ufficiale servito alla tavola dei Dogi e poi dimenticata, è nato il vino Venissa, per la prima volta in bottiglia nel 2010, grazie al winmaker bassanese Roberto Cipresso, uno dei più affermati enologi nazionali, e a Desiderio Bisol. Venissa è un vino bianco vinificato sulle bucce come un grande rosso, che si presenta con un incredibile colore dorato, imbottigliato in un gioiello di bottiglia soffiata a mano firmata Carlo Moretti e con etichette in foglia d'oro inserite durante la lavorazione. Inutile parlare, qui, di sapori, aromi e persistenze olfattive di un vino che - va detto - è quasi virtuale: poco più di 20 mila litri, di cui la metà acquistabili solo a nel resort e nel ristorante stellato sorti intorno a questo progetto, e che portano il suo nome. “Ovviamente” il suo costo non è propriamente popolare, visto che alla rarità del vino si aggiunge una bottiglia artistica laminata in oro. Quindi, insomma, il vino Venissa non è proprio per tutti. Lo è invece quello che questo progetto “ha mosso”, facendo della marginale Mazzorbo un’ambita meta turistica per gourmet e viaggiatori esigenti, riattivandone gli orti ora affidati agli anziani del luogo che li coltivano e guidano i turisti alla scoperta della tradizione degli orti lagunari. Aprendo la strada a nuovi modi per raccontare un territorio attraverso il vino e recuperando una storia veneziana tutta da gustare (http://venissa.it) (m.g.)

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova