Droga e patenti: analisi mediche falsificate perquisita Medicina legale

PADOVA. Perquisizione nell’istituto di Medicina legale in via Falloppio nell’ambito dell’inchiesta sui referti medici alterati per consentire a soggetti con problemi di tossicodipendenza di riottenere la patente ritirata. E di mettersi di nuovo al volante, nonostante il test ancora positivo.
Nel mirino della squadra di polizia giudiziaria della procura l’ufficio del direttore dell’Unità operativa complessa di tossicologia forense, il professor Massimo Montisci, e la sua abitazione.
Al docente universitario è stato notificato un decreto di perquisizione valido come informazione di garanzia per falso ideologico, atto dovuto in una fase delicata dell’inchiesta che aveva già coinvolto un chimico, il dottor Emanuele Nalesso (difeso dal penalista Giuseppe Pavan).
Quest’ultimo era stato perquisito il 21 giugno sia al lavoro sia a casa: nell’occasione sequestrati cellulari, pc e supporti informatici, documentazione e alcune provette. Identico materiale sarebbe stato sequestrato al professor Montisci, uno dei più noti e preparati medici legali, consulente di tante procure nel Triveneto in molti delicate vicende di cronaca nera, direttore della Scuola di medicina legale e ordinario all’università patavina.
Oltre ai due dipendenti dell’ateneo, ci sono altri quattro indagati sempre per concorso nello stesso reato. Tra questi una specializzanda in Medicina legale, la dottoressa Arianna Giorgetti, 28 anni; i due sospetti beneficiari dei falsi referti rispettivamente il titolare di un’agenzia infortunistica (difeso dall’avvocato Massimo Munari) e un albergatore; infine una sesta persona.
Il 20 giugno scorso è arrivato un esposto in procura da un dipendente di Medicina legale. Ed è partita l’inchiesta coordinata dal procuratore capo Matteo Stuccilli, dall’aggiunto Valeria Sanzari e dal pm Silvia Golin. Alcuni mesi fa ai due professionisti era stata ritirata la patente quando, dopo un controllo stradale, erano risultati positivi a cocaina e sostanze dopanti.
In questi casi per poter rimettersi al volante è necessario completare un percorso di riabilitazione su ordine del prefetto e dimostrare di essere “puliti” (essere tornati in possesso dei requisiti psico-fisici) prima di poter riconquistare la patente previo superamento di un nuovo esame.
Secondo la procura sarebbero stati manomessi i risultati dei test su campioni di capelli, sangue e urine prelevati (a sorpresa) per verificare se l’automobilista si “rimette in riga”.
Risultati che vengono trasmessi alla commissione medica locale per la valutazione dei requisiti di idoneità. Nel caso in cui un soggetto sia trovato positivo per la seconda volta, infatti, rischia la revoca definitiva del permesso di guida. Il materiale organico non sarebbe stato recuperato. Tuttavia ogni passaggio nel laboratorio di tossicologia resta “tracciato” e saranno eseguite verifiche sui macchinari impiegati. —
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