Duemila miliardi di lire all’ombra della P2

Lo «scandalo dei petroli» è la scoperta di un contrabbando di greggio di vastissime dimensioni che coinvolse petrolieri, politici e vertici della Guardia di Finanza e di cui la neonata “tribuna di...

Lo «scandalo dei petroli» è la scoperta di un contrabbando di greggio di vastissime dimensioni che coinvolse petrolieri, politici e vertici della Guardia di Finanza e di cui la neonata “tribuna di Treviso” con il cronista Raffaele Volonté, diede per prima notizia. La truffa all’Erario, quantificata in 2 mila miliardi di lire, consistette nel mancato pagamento delle accise su una quantità di carburante pari al 20% del consumo nazionale.

L’inchiesta prese avvio nel 1978 a Treviso, coinvolse 18 magistrature e passò a Torino dove vennero indagate 184 persone. Il 30 aprile 1987 il tribunale piemontese condannò in primo grado gran parte degli imputati. Tra loro l’ex comandante generale del Corpo delle Fiamme Gialle Raffaele Giudice, piduista (3 anni e 10 mesi, 30 milioni di multa); il capo di Stato Maggiore Donato Lo Prete, anch’egli iscritto alla P2 (8 anni, 200 milioni di multa); il petroliere milanese, titolare del più grande deposito privato di combustibile in Italia (Costieri Alto Adriatico di Marghera) Bruno Musselli, considerato uno degli ideatori della truffa (7 anni, 300 milioni di multa); l’imprenditore rodigino Mario Milani, direttore del Costieri (8 anni e 300 milioni di multa); assolto invece Sereno Freato, per anni segretario personale di Aldo Moro.

La sentenza di appello del 17 luglio 1989 ridusse le pene per Lo Prete e Musselli: i giudici scrissero che «il contrabbando ci fu, ma le cosiddette “protezioni politiche” non sono state provate». Lo scandalo, uno dei più clamorosi della storia della Repubblica, venne alla luce a seguito delle indagini avviate nel settembre 1978 dai magistrati trevigiani Felice Napolitano e Domenico Labozzetta nei confronti del trevigiano Silvio Brunello per un’ipotesi di frode fiscale.

Nel corso degli accertamenti emerse una truffa di ben più vaste proporzioni, realizzata attraverso la falsificazione dei certificati di pagamento dell’imposta di fabbricazione necessari al trasporto dei prodotti petroliferi. Obiettivo: evadere la differenza di imposta tra benzina e distillato petrolifero o evadere l’intera imposta sulla benzina.

Il traffico venne organizzato da alcune società del Nord controllate da Bruno Musselli con una decina di aziende venete e lombarde. A coprire il contrabbando furono uomini corrotti della Guardia di Finanza e dell’Utif, l’ufficio tecnico delle imposte di fabbricazione.

Il meccanismo della spartizione è stato ben sintetizzato dal giornalista Tino Oldani in un articolo su Panorama: «Il petroliere che forniva la bolla di accompagnamento si metteva in tasca 50-60 euro per ogni chilo di prodotto indicato sulla bolla e venduto illegalmente sul mercato. Per timbrare il “bugiardino” la Finanza pretendeva 20 lire al chilo e altrettanto ne esigeva l’Utif. Oltre a coprire la falsificazione delle bolle, la Finanza e l’Utif si impegnavano anche a “proteggere” il trasporto della benzina. E in cambio ricevevano una tangente altissima: 80 lire al chilo da spartire a metà. Poi c’erano gli spiccioli: 15 lire al chilo per gli autotrasportatori e 10 lire per i capi dei depositi petroliferi e per gli “osservatori” i quali dovevano girare l’Italia per controllare che la macchina del contrabbando funzionasse». (s.t.)

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