Ecco com’erano i rioni nell’era Napoleonica

Grazie ad un lavoro da minatore nell’archivio storico di Venezia, Claudio Grandis ha ricostruito Padova entro le mura e i suburbi della campagna. Su scala 1:2000 si srotolano mappe grandi come lenzuola. Così è nato il libro “Padova disegnata”, edito dalla Banca di Credito Cooperativo di Piove, con le foto di Matteo Danesin, scattate a bordo di un piccolo, agile elicottero.
Il volume è stato presentato ieri nella sala convegni del Centro Altinate; a coordinare questo racconto di viaggio nella storia della città, il giornalista Toni Grossi. «L’orizzonte in cui si muove il nostro posto di osservazione», fa notare, «è molto diverso dalla realtà che ora ci circonda».
Nel 1766 Padova ha poco più di 30 mila abitanti e la campagna circostante, rare case con i tetti di paglia in mezzo alle coltivazioni (prati, orti, qualche villa, broli, qualche convento, un esercito di chiese), non supera le 12 mila anime. Un piccolo centro, che brilla comunque per la sua centralità nel Veneto, per la rete di fiumi e canali, ma soprattutto per la sua Università.
Il catasto napoleonico, che è oggetto di questo studio, si divide in sette parti (i comuni censuari): la città entro le mura, Ponte di Brenta, Camin, Salboro con Pozzoveggiani e Volta del Barozzo, Brusegana, Montà. L’esame delle mappe ti colloca in un ambiente quasi sconosciuto: dov’è l’Arcella, dov’è Forcellini? Le attuali periferie sono ingoiate dalla campagna. Ti perdi in una rete di canali, fossi, paludi: qui la Padova città d’acque, ricca di ponti, quella che fece innamorare il poeta Diego Valeri, mostra una fluvialità imponente e tumultuosa.
Alla città furono cambiati i connotati già nel Cinquecento con la tecnica del guasto, uno squarcio sulle mura cinquecentesche che inibiva ogni costruzione e ogni albero entro 100 metri dalla breccia, per lasciar spazio alle raffiche di chiodi contro gli imperiali di Massimiliano. Ma perché Napoleone e i suoi geometri mettono Padova sotto la lente di ingrandimento, dividendola in sette fette censuarie? La macchina fiscale fa acqua da tutte le parti e questa analisi consente di mettere ordine, di far pagare le tasse soprattutto ai grandi proprietari. Ciò è importante anche ai fini del diritto di voto che spetta solo ai ricchi. Il Catasto napoleonico ideato nel 1807 trova applicazione solo quarant’anni dopo. È comunque l’architrave della città moderna che comincia a prender fiato con la costruzione dell’ospedale giustinianeo, dell’Isola Memmia in Prato e che si consolida nei primi anni del ‘900 con la realizzazione del rettifilo di corso del Popolo, direttissima per la stazione ferroviaria e con la costruzione del cavalcavia Borgomagno, con torre belvedere sullo spettacolo dei treni, che congiunge il centro con l’Arcella. Prima c’era solo un passaggio a livello.
Aldo Comello
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