Engleberth nonna al cinema «Il mio viaggio con Veronica»

PADOVA. Nata a Padova da genitori istriani in fuga dalla guerra, ha vissuto fino a 18 anni a Reschigliano e, dopo il diploma al liceo classico Tito Livio, ha lasciato la provincia veneta e si è diplomata all’Accademia d’Arte drammatica del Piccolo Teatro di Milano. Dopo tanti anni dedicati al teatro - che ancora oggi la vede impegnata - Pia Engleberth torna al cinema come coprotagonista del nuovo film che segna il debutto alla regia di Veronica Pivetti. In “Né Giulietta, né Romeo” - in uscita nelle sale oggi - l’attrice padovana interpreta il ruolo di una nonna “ironicamente fascista” alle prese con un nipote che fa outing e mette in crisi l’intera famiglia. Una nuova avventura cinematografica per Pia Engleberth che nel grande schermo ha già vestito i panni di numerosi personaggi, come la suora missionaria nel cuore dell’Amazzonia in “Un giorno devi venire” di Giorgio Diritti, la nonna Marina in “Anni felici” di Daniele Lucchetti, la mamma snob della sposa in “Un matrimonio da favola” di Carlo Vanzina, la psicologa di “Ti ricordi di me” di Rolando Ravello, ed è stata scelta anche da Paolo Virzì per “Il capitale umano”.
Come si è trovata nei panni di una nonna “fascista”?
«Il personaggio è stato tratteggiato molto bene e non ha nulla di caricaturale. Più che l’adesione a un’ideologia traspare un atteggiamento borghese, per partito preso si potrebbe dire, e molte rigidità si sciolgono in toni di vera umanità nel rapporto molto stretto con la figlia, interpretata da Veronica».
Come viene affrontato nel film il tema dell’omosessualità?
«Veronica ha tenuto una linea molto composta, educata vorrei dire, senza mai alzare i toni, senza suscitare scandali. Ne esce un quadro molto realistico, quello, credo, che ci si aspetta succeda davvero in un famiglia in questa situazione. È un racconto vero e allo stesso tempo delicato».
Mamma e figlia partono per un viaggio in auto alla ricerca del figlio-nipote andato a Milano con gli amici a vedere il concerto di una icona rock gay.
«È un viaggio che svela gli animi dei protagonisti, una introspezione che rivela i lati più nascosti delle due donne, che ne fa emergere l’umanità in tutte le sue componenti. Un susseguirsi di scene a volte anche molto concitate, divertenti, con numerosi colpi di scena. Un contraltare rispetto alla figura del padre, uno psicanalista preoccupato che l’omosessualità del figlio possa metterlo in cattiva luce nel mondo accademico e professionale. Non manca una riflessione quindi, anche sull’assenza di dialogo che spesso caratterizza il rapporto fra padre e figlio, il disorientamento reciproco che ne deriva».
E il finale?
«Un happy end con sorpresa, ma non anticipo di più».
Dopo essere stata mamma, nonna, suora e donna in carriera, quale femminilità vorrebbe portare sullo schermo adesso?
«Quella più vicina a molte situazioni reali: una donna non più giovanissima, che ha visto infrangersi dopo anni di matrimonio il suo sogno di un amore eterno, separata dal marito, abbandonata dai figli, in cerca di ricostruirsi una vita tutta nuova. Un quadro che sembra banale ma che pone davanti un’infinità di scenari sui quali varrebbe la pena riflettere».
Torna spesso a Padova? Che Rapporto ha con la sua terra di origine?
«Sono molto legata al mio paese e al Veneto in generale. Ogni volta arrivando in treno i colori delle nostre campagne, in ogni stagione, mi riempiono gli occhi e il cuore come non mi succede in nessun altro posto».
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