Esame al Bo con l’auricolare: indagata

Il pm Peraro voleva archiviare, il gip Cavaggion ordina di contestare il reato che punisce chi copia

Voleva essere più furba degli altri, superando l’esame di procedura civile grazie alle risposte suggerite, tramite un auricolare senza fili (bluetooth), da due amici e compagni di studi collegati a internet. Furba e pure sfrontata nei confronti dei altri “colleghi” che avevano sudato ore e ore di studio, sognando un bel voto sul libretto. Ora una studentessa vicentina iscritta alla scuola di legge, ex facoltà di Giurisprudenza, (originaria di Thiene e di buona famiglia, il padre è medico, difesa dagli avvocati Davide Pessi e Jacopo Al Jundi), è finita protagonista di un’inchiesta penale insieme ai due amici (di Bassano del Grappa e di Vicenza, difesi dai legali Stefano Grolla e Francesca Manera), anche se il pm padovano, Marco Peraro, aveva chiesto l’archiviazione per “speciale tenuità del fatto” e per l’incensuratezza degli indagati. Una lettura che non è piaciuta per niente al gip Cristina Cavaggion, pronta ad accogliere l’opposizione proposta dall’Università tanto da ordinare al pm la formulazione del capo d’imputazione”, ovvero la chiusura dell’inchiesta con un capo d’accusa, la violazione dell’articolo 1 della legge 475 del 1925. Articolo secondo il quale «chiunque in esami o concorsi... presenta, come proprii... lavori che siano opera di altri, è punito con la reclusione da tre mesi a un anno». Insomma è un reato penale copiare durante le prove di un esame o di un concorso pubblico.

Lo ha sottolineato nel suo provvedimento il gip Cavaggion, uniformandosi ai rilievi indicati dei legali dell’ateneo (il penalista Emanuele Fragasso e la professoressa Patrizia Marzaro): l’accaduto è tutt’altro che banale. E non merita di certo la valutazione di “speciale tenuità” visto che , come tale, non era stato recepito da chi studia e fatica. Non a caso la segnalazione è partita dal mondo studentesco. È il maggio 2016, vigilia della prova d’esame in programma il 13 del mese: la studentessa si vanta dell’imminente performance ispirata da quella messa a punto da altri ragazzi in occasione di un esame nel distaccamento di Treviso. Ma l’arroganza non premia. E un’altra allieva, arrabbiata di fronte a tanta sfrontatezza, si affretta a segnalare l’imminente progetto al docente titolare dell’insegnamento. La professoressa Marzano, direttrice del Dipartimento, presenta la denuncia e informa la Squadra mobile. Così gli agenti in borghese si presentano nell’aula del Bo il giorno dell’esame e, a prova ormai ultimata, bloccano la studentessa di fervida creatività sequestrando cellulare e auricolare mimetizzato fra i capelli. Nell’applicazione whatsapp del suo telefonino, domande e risposte erano memorizzate nel gruppo denominato “Alla faccia di chi studia” formato dall’allieva e dai due suggeritori. La ragazza, che s’era pure vantata di aver comprato in rete quel particolare auricolare, tenta pure di giustificarsi: «Era impossibile passare l’esame... Sono stata costretta, altrimenti non l’avrei mai superato». Poi aveva insistito: stava vivendo una situazione difficile con il padre ammalato e lei in stato di turbamento.

Tutto inutile. Sul piano amministrativo i tre rischiavano il procedimento disciplinare da parte dell’ateneo. Evitato solo in seguito al trasferimento in un’altra sede universitaria.

Cristina Genesin

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