Esposti agli Eremitani due Rembrandt dell'Ermitage

PADOVA. Omaggio a Rembrandt al museo civico di Padova. Rembrandt, maestro del chiaroscuro, capace di dipingere, senza mostrare il cielo, l’ombra di una nuvola su un prato assolato; Rembrandt, il “pescatore di perle” che scandaglia nelle profondità della natura e fa affiorare l’anima su un volto, consumato dall’età, ma sopravvissuto nell’espressione che vibra come uno spettro su un campo di macerie. Il vecchio ebreo, la barba biforcuta che gli mangia la faccia, lasciando scoperte le finestre degli occhi è di straordinaria qualità pittorica. Non ritratto, denudato com’è di paludamenti, privo di orpelli celebrativi, ma dipinto misterioso, capolavoro che si staglia come un gigante nel mondo rembrandtiano. Il giudeo askenazita non è una comparsa, un attore raccolto da una strada del ghetto, ma un personaggio straordinario. Sembra sicura la sua identificazione con il mitico Thomas Parr (1483-1635), vissuto secondo la leggenda 152 anni e 9 mesi. Gli stessi elementi di intensa umanità nell’altro dipinto del maestro olandese in mostra a Padova: “ritratto di vecchia”, abiti scuri, copricapo nero, il mento morbido e la linea delle labbra, fanno stacco tra persona e icona. La vecchia confessa che ha vissuto in un alone di tristezza e di rassegnazione. Potrebbe essere la madre di Rembrandt, reduce da infiniti dolori, da lutti e delusioni negli anni del tramonto dell’artista oppresso dai debiti e dalle sciagure dopo lo stordimento euforico dello scialo. Ma probabilmente è solo una modella.
Tutti i vecchi del grande maestro, segnati dal passaggio tempestoso di emozioni, caratteri e temperamenti fanno pensare a ritratti dei più stretti parenti dell’artista. Le due tele di straordinaria bellezza del maestro olandese, valore assicurativo di oltre 30 milioni di euro, sono state prestate al Museo civico degli Eremitani dal Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo, e saranno il fulcro della mostra in programma da oggi al 30 gennaio 2011, corredata da uno sciame di stampe, incisioni su rame, acqueforti, oltre una quarantina di pezzi, provenienti dalle collezioni civiche e dalla Biblioteca del Seminario Vescovile. «Il contesto – nota Davide Banzato, direttore dei Musei Civici – è essenziale. Il Rembrandt dell’Ermitage non irrompe a Padova come un’astronave in un pianeta alieno, ma si inserisce in un tessuto culturale nutrito dalla diffusione in area veneta di stampe, disegni, dipinti del maestro di Amsterdam, diffusi dai collezionisti soprattutto nel Settecento e che hanno influenzato la nostra arte, dal Tiepolo, al Piazzetta a Piranesi, in uno straordinario processo di contaminazione degli stili e delle tecniche». Né, d’altra parte, pur non avendo mai varcato il crinale della Alpi, Rembrandt, non poteva ignorare il Castiglione di Raffaello né il gentiluomo in azzurro del Tiziano. I due dipinti intensissimi e toccanti, ospitati a Padova, sono finiti in Russia in seguito ad una diaspora che spesso tocca ai grandi capolavori. Furono acquisiti dall’imperatrice Caterina II nel 1781 dalla prestigiosa collezione del conte Silvain Baudoin, noto nei circoli dei “curieux” parigini. Si tratta quindi di opere inserite da tempo nel libro d’oro della cultura europea. Da oggi l’Ermitage è a Padova con l’omaggio a Rembrandt, ma dal prossimo 6 dicembre Padova entra all’Ermitage con la tavola di Giotto, recentemente restaurata, proveniente dalla Cappella degli Scrovegni, che raffigura l’Eterno Padre che conferisce all’arcangelo Gabriele la missione dell’Annunciazione.
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