Francesco Jodice si fa in sei per ritrarre la “sua” Venezia

TREVISO. Sarà un film su Venezia, il quarto della serie-progetto Citytellers. Ma intanto Francesco Jodice ce ne mostra i caposaldi: sono sei fotografie che da sabato si fanno vedere a Casa dei...
Di Paolo Coltro

TREVISO. Sarà un film su Venezia, il quarto della serie-progetto Citytellers. Ma intanto Francesco Jodice ce ne mostra i caposaldi: sono sei fotografie che da sabato si fanno vedere a Casa dei Carraresi, a Treviso. Solo sei foto, peraltro di grande formato, un metro per due. «Un diario fotografico», le chiama Jodice, ma bisogna capirlo meglio. In realtà sono i concetti, i pilastri del lavoro in fieri su Venezia, le fondamenta dell’idea. Per questo il diario minimo di sei scatti diventa massimo, perché sostiene tutto il resto. Il lavoro ha un titolo che spiega un po’ di più, “L’eredità dei precursori”. Francesco Jodice è architetto, non costruisce, analizza il costruito: va in giro per il mondo e pensa le immagini che sono il pensiero di una città, sia essa San Paolo del Brasile o Dubai. Gli interessano i modi di vivere, gli sviluppi e le involuzioni. Anche con Venezia è stato così, e la ricerca è stata prima di tutto sui libri. Lavora così: prima si documenta, cerca nella storia e nelle cronache, nelle architetture e negli abitanti. Confessa, e rivendica: «Non sono un flâneur, il mio lavoro è freddo e razionale, non cerco l’ispirazione guardando in giro».

Esattamente come suo padre Mimmo, classe 1934 (Francesco è nato nel 1967), che in un’intervista tre anni fa al Corriere della Sera disse paro paro: «Il mio lavoro è fatto di attesa e nasce da un progetto per il quale vado a cercare le immagini». Talis pater, talis filius, come metodo: ma il fine è diverso. Jodice junior vuole raccontare le modificazioni del paesaggio sociale e contemporaneo, in qualche modo mette dentro le sue immagini il tempo che, invece di essere fissato, scorre. Non è facile, anche perché la massima espressione del tempo, il movimento, non c’è quasi mai. È la fissità di un divenire, che si percepisce nelle sue foto di città, un divenire che c’è stato e si si sta ancora facendo.

Lo stesso procedimento mentale è stato adoperato per Venezia. Ma Venezia è speciale. Dice Francesco: «Venezia è invincibile. Se la affronti come tutti gli altri, perdi subito, vince inesorabilmente lei». Vuol dire: non mi sono messo dietro ai giapponesi a scattare la milionesima e una foto per le calli, anche un bel bagaglio culturale così si confonde. C’è stato lo sforzo di rinunciare alla bellezza spudoratamente offerta di Venezia, alla portata di tutti. C’è stato lo sforzo di rinunciare alla Venezia visibile per cercare quella concettuale. «Ci vuole consapevolezza», taglia corto Jodice: cioè sapere prima cosa si ha di fronte e idee chiare su cosa si vuole. L’obiettivo è di avere immagini «dense di complessità nella semplicità fotografica». Così è stato per la sua Venezia, i famosi sei pilastri: che non sono altro che simboli, qualcosa che deve contenere molto altro, a partire dall’idea. Ecco la prima: Venezia che nasce sull’acqua bassa, tra i canneti sommersi e le velme affioranti, ed ecco la palude e le sue piante, territorio primigenio dove solo alcuni - costretti, disperati, fantasiosi, avveniristici - possono pensare di costruire. Come capire che in quell'acqua c’è la base, mobile, di una potenza? Jodice architetto è rimasto affascinato «dal bosco alla rovescia che sorregge i palazzi veneziani, queste grandi masse sostenute dagli alberi che non si vedono». Ed è la seconda fotografia, quella di un palazzo trasfigurato nell’idea di un palazzo. In effetti è un modellino scovato al Museo Fortuny, simbolo di tutti gli altri palazzi anche se questo galleggia in una teca. Lì c’è la potenza del costruire così, lì c’è il progetto che, se non interpretiamo male Jodice, non si ferma al palazzo in sé, ma prosegue nell’abitare, nel vivere, nell’essere una città siffatta. È questa la densità della complessità, svolta in modo simbolico. Stesso procedimento per una terza foto, che è l'abito (la ricostruzione fedele dell'abito) per l'incoronazione di Caterina Cornaro, la regina di Cipro che s'inchinò alla ragion di Stato e regalò la “sua” isola alla Serenissima. Il vestito è d’oro, com’era d'oro di ricchezze e importanza la fine del Quattrocento veneziano. Com’era d'oro il corno dogale. In quel vestito, fermo su un manichino, c’è il riflesso dello splendore della Dominante, ci sono gli zecchini e i ducati, c’è l’eleganza di un potere concreto.

Le altre tre foto le lasciamo alla sorpresa del visitatore. Con una piccola notazione: Francesco Jodice predilige immagini un po’ sovraesposte, che danno un vago senso di immaginario alla realtà. «Lo faccio perché voglio che chi guarda si chieda se quel che vede è vero o alterato. Voglio costruire il dubbio». I paesaggi urbani sembrano sospesi, vagamente irreali. Con Venezia, Jodice ha scelto un altro registro, queste sono immagini diverse dalle sue altre. Insomma, Venezia l’ha un po’ costretto a cambiare. L’ha ammesso anche lui: Venezia è invincibile.

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