Freddy alla polizia: «Non vi posso aiutare»

PADOVA. «No ve posso iutare». Dopo dieci ore di interrogatorio, con tutti gli inquirenti intorno, dopo essere stato prelevato alle tre di notte e dopo aver mangiato solo un pacchetto di salatini preso al distributore automatico della Questura, Freddy Sorgato continuava a ripetere di non poter aiutare gli inquirenti a risolvere il giallo della scomparsa di Isabella Noventa. «Ma non ci pensi che non vedrai più tuo nipote?» gli diceva un agente tentando di sbloccarlo. «Vediamo come evolve» è stata la risposta del ballerino-autotrasportatore-massaggino. Il 16 febbraio è una data spartiacque nella vita di Freddy: entrato in Questura da uomo libero e sfrontato, è uscito con un paio di manette ai polsi e un’accusa di omicidio premeditato. È stata una giornata infinita, in cui forse per la prima volta ha compreso la gravità della situazione.
È rimasto negli uffici della Squadra mobile di Padova dalle 3 del mattino fino alle 19. È stato incalzato dal pubblico ministero Giorgio Falcone e dagli investigatori della polizia. Seduto su una seggiola, capo chino, jeans, scarpe da ginnastica e felpa in cotone. «Sei una persona coraggiosa?». Risposta secca: «No». «Fai un atto di coraggio una volta nella vita. Aiutaci a capire». Silenzio. Una goccia di sudore cala dalla fronte nonostante la finestra semichiusa, con il freddo di febbraio che si mescola al caldo secco dei termoconvettori. «Ti rendi conto che non vedrai più tuo nipote? Lui ha tappezzato la cameretta con i disegni per il suo zio e tu così facendo rischi di non vederlo più». Ancora silenzio. Lo sguardo si alza leggermente. «No ve posso iutare».
In quell’ufficio della Squadra mobile sono passati assassini, rapinatori, tossicodipendenti, violentatori, pedofili, sequestratori. Questi poliziotti hanno visto tutte le reazioni che un uomo può avere nel momento in cui confessa, nell’istante in cui realizza che indietro non si può tornare. Freddy Sorgato aveva l’aria di un uomo che si era finalmente liberato di un peso. Dopo aver ucciso Isabella Noventa ha continuato per un mese a fare la vita di sempre: sveglia alle sei del mattino, lavoro, i balli, il sesso con l’amante. Ha avuto tutto il tempo di metabolizzare l’assassinio e di assaporare finalmente una esistenza senza di lei.
«Salva almeno tua sorella. Allevia il dolore a tua madre. Pensa almeno a lei: in questo modo ha perso due figli. Parla Freddy, racconta cos’hai fatto». E Freddy manteneva la calma, rimaneva immobile con le sole pupille a spostarsi dal basso verso l’alto e poi ancora in basso e poi ancora in alto. Ha tenuto duro fino alle sette di sera, poi è uscito con le manette ed è stato trasferito in carcere.
Ha rivisto quegli investigatori due giorni dopo per il sopralluogo sull’argine del Brenta. «Sono in cella con tre tunisini e due italiani» ha raccontato mentre indicava il punto del fiume in cui sostiene di aver gettato il corpo di Isabella. «Con i tunisini ho fatto un po’ fatica ma gli italiani sono bravi tosi».
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