Genitori speciali di 36 figli di nessuno

In via Ognissanti all’ex civico 61/A abitavano con i loro quattro figli i coniugi Emilia e Vittorio Eutemio Bolzan. Tra il 1931 e il 1970 accolsero in affidamento 36 neonati abbandonati, l’ultima bambina fu da loro adottata. Si chiama Erika.
La ruota degli esposti è appena al di là della strada, nel piccolo sagrato della chiesa. Le parole scolpite sul frontone sono la quintessenza del dramma dell’abbandono, un dolore che trova consolazione nell’atto d’amore dell’accoglienza. “Fui abbandonato da mia madre e mio padre, ma il Signore mi accolse”.
Nel 1888 la ruota degli esposti, con le sue nicchie di legno che fungevano da culle, cessò di funzionare, la smobilitazione fu giustificata dal fatto che questa istituzione, pur generosa, sfornava bimbi marchiati dal titolo di figli di NN, affidati alla pubblica carità, cittadini di serie B.
Ma negli anni Trenta del secolo scorso, stagione di crisi feroce, c’erano bambini che morivano di polmonite, di fame, disidratati dalla diarrea, uccisi dal tifo. Nel 1931 nel borgo del Portello, abitato da povera gente, questa ecatombe impressionante straziava il cuore. Ed è proprio nel 1931 che Emilia e Vittorio cominciano la loro opera di generosità, costruiscono un monumento all’amore. La casetta, con un bell’ arco medievale, è piccola; immaginiamola invasa da vagiti, nella cucina la tavola per stirare, il mastello per lavare. la stufa a legna con i ferri rotondi arrossati dal fuoco e l’affaccendarsi di Emilia con panni da lavare, bocche da imboccare, ninne nanne da cantare, coccole da distribuire.
I Bolzan hanno tre figli loro, una quarta, Giuseppina, che ha la stessa età di Erika, è in arrivo. Non sono ricchi, nemmeno benestanti: lui è un bravo artigiano, lucidatore d’argenti, lei provetta stiratrice, arrotonda un po’ le entrate, ma non può districarsi dal ruolo di mamma, biologica e non, e di casalinga. Era il mese di novembre del 1947 quando una giovane donna suonò il campanello di casa Bolzan, aveva in braccio, infagottata in uno scialle, una bambina piccolissima, si vedevano le manine strette a pugno, i minuscoli piedi, il viso era nascosto.
Venne ad aprire Emilia, la ragazza-madre disse che la piccola era registrata e battezzata, ma lei non la poteva tenere. Emilia pur con il cuore spezzato, in un primo tempo rifiutò, disse che aveva 54 anni, che ormai non ce la faceva più. Poi Vittorio si accostò alle due donne, scoprì la faccia della piccola, un visino pallido e magro. Denutrita, aveva anche bisogno di essere lavata e cambiata. “E va ben – disse Emilia – la me la lassa qua”.
Così cominciò la nuova vita di Erika. I Bolzan che per gli affidamenti ricevevano dal Comune il contributo di un litro di latte al giorno per bambino, erano di una generosità indomita, senza limiti. Sono scomparsi entrambi a metà degli anni Settanta.
Ieri, in via Ognissanti è stata scoperta la targa alla memoria dei coniugi Bolzan. Erika era commossa, ha raccontato la sua storia, i suoi ricordi con la voce rota dall’emozione. Con lei il marito. Hanno due figli e due nipoti, Tiene tra le mani, accostato al viso, uno splendido mazzo di fiori che le è stato regalato; durante la cerimonia, intreccia i fili dei suoi ricordi e alla fine scoppia in singhiozzi, bagnando fiori e foglie, ma le sue sono parole d’amore. Lei era come un uccellino ferito, un passero caduto dal nido, i Bolzan le hanno regalato una nuova gioia di vivere, i Bolzan, specialisti in umanità.
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