Gesù? Era solo un profeta
Accuse al Ratzinger teologo: «Cristo non ha mai detto di essere il Messia»

Il veleno è nella coda: «Gesù non è mai stato cristiano. Non si è mai proclamato Messia. Gesù era un profeta ebraico apocalittico itinerante». In un piccolo pamphlet, Paolo Flores D'Arcais riprende e amplia la sua polemica di un paio di mesi fa con i due volumi dedicati a Gesù da Benedetto XVI. In realtà il Gesù (add editore, p. 127, 5 euro) di Flores D'Arcais, più che col Papa se la prende col Ratzinger teologo, accusato di falsificare la storia del Gesù reale, per propagandare quella del Gesù stabilito dal Concilio di Nicea. I punti di attacco sono più di uno e riprendono alcuni dei temi da sempre in discussione quando si parla del Gesù storico. La tesi di Flores D'Arcais non è nuova, lo dice apertamente lui stesso. Il suo è un lavoro di divulgazione, divulgazione polemica se si vuole aggiungere un aggettivo, ma anche documentata, perché fa riferimento a studiosi accreditati, anche cattolici. Quale la tesi? Gesù si presenta come profeta, mai come figura divina. Predica la fine del mondo come imminente, sta dunque interamente dentro la tradizione ebraica, con semplicemente una accentuazione apocalittica che lo porta in collisione con le autorità religiose. La fine del mondo predicata da Gesù dovrebbe arrivare nel corso della vita della generazione degli uomini a cui predica, non in un futuro indefinito. Gesù non si è mai sognato di proporsi come fondatore di una nuova religione, tantomeno di una religione trinitaria. I suoi seguaci erano e rimasero ebrei e il suo impatto sul mondo ebraico fu molto modesto, di gran lunga inferiore a quello, per esempio, di Giovanni Battista. A dire tutto questo - suggerisce Flores D'Arcais - sono gli stessi testi sacri se li si legge attentamente. Di contro, Ratzinger racconta - secondo Flores D'Arcais - un Gesù che non è quello storico, ma quello istituzionalizzato e politicizzato della Chiesa, che espunge dalle scritture i passi controversi, opera interpolazioni per favorire letture canoniche, nega le evidenze. In realtà il ragionamento di Flores D'Arcais serve la logica del pamphlet, nel senso che trasforma dubbi più che legittimi, interpretazioni credibili, fonti storiche attendibili in dati certi e univoci, mentre esilia dall'ambito della logica tutto ciò che potrebbe andare in direzione della incertezza. Un esempio. Uno dei primi argomenti sono i sacrifici. Gli ebrei facevano sacrifici, secondo Ratzinger Gesù rompe con l'ebraismo, perché elimina i sacrifici attraverso la celebrazione eucaristica. Flores D'Arcais nega questo. Dice che storicamente i cristiani continuano a operare sacrifici, quindi nessuna frattura con l'ebraismo. Ha ragione? Forse, il problema è che presenta come esplicito ciò che esplicito non è, o almeno ciò che esplicito non è ritenuto da molti studiosi. E' vero, negli Atti degli apostoli Paolo parla di «offrire sacrifici» ed è possibilissimo che questo dimostri quel che dice Flores D'Arcais. Però la tradizione cristiana ha sempre letto quel sacrifici come sacrifici spirituali, a partire da un altro testo canonico come la prima lettera di Pietro. Ecco, questo Flores D'Arcais non lo dice, leggendo il suo pamphlet sembra semplicemente che la Chiesa faccia finta di niente, mentre ne parlano Agostino e moltissimi teologi antichi e moderni. Insomma, i temi che questo «Gesù» mette in campo sono reali, sono anzi il cuore di gran parte dell'ermeneutica cristiana. Il modo in cui Paolo Flores D'Arcais li affronta è invece dichiaratamente polemico, senza concessione alla complessità. E questa è ovviamente una scelta consapevole, che vuole contrapporsi in qualche modo ad una mancanza di complessità, ad una assenza di dubbio che Paolo Flores D'Arcais rimprovera all'opera di Joseph Ratzinger. Di qui, appunto, non l'accusa al Papa, che giustamente difende ciò in cui crede la Chiesa di cui è il capo, ma al teologo che non affronta correttamente i problemi. Certo che il lettore rimane spiazzato, sente che manca qualcosa al ragionamento e allora non resta che prendere questo libro come uno stimolo a guardare più a fondo.
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