«Gli attentati a Mazzei per vendetta» la polizia indaga l’ex socio e due ex Mala

Capparotto è sospettato di essere il mandante. Il movente? Fargli pagare l’uscita dal consorzio che mieteva appalti



Da socio in affari a nemico numero uno, chiodo fisso e, infine, bersaglio. Dopo un anno di indagini è stato svelato il giallo degli attentati incendiari all’ingegnere Filippo Mazzei e alla sua ditta Gallo Road. Era l’ex socio Francesco Capparotto a mandare due vecchi arnesi della Mala del Brenta a intimorire prima a casa e poi in cantiere quello che per tanto tempo gli aveva assicurato appalti e prosperità. Questo è il canovaccio investigativo della Squadra mobile di Padova, che ha indagato Silvio Bertato, 65 anni, oggi gestore di un ristorante a Mira e Giorgio Piva, ormai settantenne, per i reati di incendio doloso, danneggiamenti e detenzione di materiale esplodente. Nell’indagine è finita Roberta Beis, moglie di Bertato, quarta indagata ma non per gli attentati a Mazzei, bensì per una soffiata su un furto da portare a termine.

l’escalation

Un tassello fondamentale per capire questa storia è sapere chi è Filippo Mazzei, impresario edile stimato che lavora in società con l’ex presidente di Confindustria Massimo Pavin. Si è occupato della realizzazione di piazza Rabin, si sta occupando della ristrutturazione del Foro Boario in Prato della Valle. L’8 maggio dell’anno scorso, a sera inoltrata, è tranquillo a casa sua quando un’esplosione squarcia il silenzio in cortile. Qualcuno lancia un petardone e poi scappa. Il 24 maggio dello stesso mese si ritrova una tanica piena di olio davanti all’ingresso di casa. La polizia inizia a indagare. Il 13 agosto un attentato vero e proprio viene compiuto a Veggiano, in via Pedagni, nel cantiere di ampliamento di IperLando. Vanno a fuoco tre mezzi. L’incendio è doloso. Ancora una volta è Gallo Road di Mazzei a finire nel mirino.

l’indagine

La polizia inizia dai filmati delle telecamere ma gli elementi utili sono pochissimi. Allora gli investigatori della Squadra mobile passano ad analizzare le targhe immortalate dalla videosorveglianza cittadina in prossimità dell’abitazione di Mazzei. Dalla scrematura monstre su 24 mila targhe ne restano tre, conosciute perché in uso a pluripregiudicati. La polizia scopre che l’8 maggio una di queste auto segue Mazzei mentre rientra a casa, evidentemente per essere sicuri della sua presenza al momento dell’esplosione. L’esame dei dati del traffico telefonico non fa che confermare i sospetti, inchiodando Bertato e Piva vicino ai luoghi degli attentati in tutte e tre le date. Nel ristorante “Perché no?” di Marano di Mira, che Bertato gestisce insieme alla figlia, i poliziotti trovano alcune taniche di olio alimentare identiche a quella utilizzata davanti a casa dell’imprenditore.

il movente

Le prove ci sono tutte ma manca la risposta alla domanda che è la pietra angolare dell’inchiesta: perché? Rispondendo a questa gli investigatori giungono al mandante degli attentati, Francesco Capparotto, 67 anni, titolare di un’impresa edile di Mestrino che fino a qualche tempo prima lavorava in consorzio con la Gallo Road di Mazzei. Insieme riuscivano ad aggiudicarsi appalti in tutta la provincia ma, a un certo punto, Mazzei decide di uscire dal consorzio. Capparotto accusa il colpo e fatica a rialzarsi. Vede invece il collega che continua a mietere appalti anche senza di lui. Decide allora di fargliela pagare. Contatta Bertato e Piva, entrambi con trascorsi nella Mala del Brenta di Maniero e ora definiti dall’autorità giudiziaria come esecutori materiali degli attentati. —



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