Gli rubano una foto da Facebook e la usano per un’app d’incontri

PADOVA. È sobbalzato dalla sedia un architetto padovano trentenne quando via social è stato contattato da una persona che gli chiedeva un incontro omosessuale. Ha scoperto successivamente che la sua foto era stata rubata via social e pubblicata da un’altra persona in un profilo della piattaforma Grindr, un social network per gay basato sulla geolocalizzazione. Ora l’inchiesta è in fase di indagine e l’architetto è difeso dall’avvocato Paola Porzio.
Diverse le querele sporte dalla parte lesa in questura. Nella prima racconta di essere stato contattato da un suo amico via whatsapp che faceva riferimento ad una conversazione avvenuta su Grindr dove compare una sua foto, presa con ogni probabilità dal suo account Fb. La foto è messa a corredo di un profilo particolare che non ha il nome di una persona. Il giorno successivo - siamo nel settembre del 2018 - la vittima decide di scrivere sul suo profilo Facebook che c’è qualcuno che a sua insaputa utilizza le sue foto in siti di incontri. Gli risponde un’amica ed ex collega di lavoro che gli racconta di aver ricevuto una richiesta di amicizia da un account con un’immagine sua, ma “rubata”. Poche ore dopo si fa vivo un altro collega di lavoro che assicura che su Grindr esiste un account con un nome fasullo ma con la sua fotografia. Ma l’amico si era dato da fare, trasformandosi in uno 007, aveva fatto finta di accettare un incontro e così aveva recuperato nome, indirizzo e cellulare di quella persona.
Grindr dà la posizione geografica e il soggetto a cui si tenta di dare un nome si trova a un chilometro dall’altro. Considerando i due indirizzi, una distanza che ci sta. La persona è ancora ignota e cambia continuamente il nome del profilo sulla applicazione, utilizzando sempre nomi fasulli. L’incubo continua e nell’ottobre successivo, l’architetto viene contattato da un uomo convinto di aver chattato con lui su Grindr. Ovviamente non era lui, ma il tizio che si spaccia con le sue foto, con questa persona assicura di cercare divertimento, di abitare in zona Duomo e di poter affittare una camera al prezzo di 300 euro. A sostegno di tutto porta sempre le stampate delle conversazioni in questura, allegandole alle denunce.
A questo punto la vittima decide di scaricare un’applicazione che consente, inserendo un numero di cellulare (e lui ne era in possesso) di risalire ai profili social collegati a quel numero. Esce un nome e un cognome, il presunto autore del reato di sostituzione di persona. Il querelante racconta di aver subito parecchi disagi da tutto questo, anche sul lavoro «con grave danno». «Inoltre sono stato contattato da persone sconosciute per scopi sessuali, pertanto querelo il presunto responsabile, riservandomi di costituirmi parte civile nell’eventuale procedimento penale». —
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova