Grande Guerra, la collana di libri fotografici in edicola con il giornale

PADOVA. È in edicola il primo volume della collana storico-fotografica dedicata al centenario della Grande Guerra: 1914. Il suicidio d’Europa ”La polveriera Balcanica e l’attentato di Sarajevo”. I volumi contengono molte foto dell’epoca, sono curati da vari autori e storici, nella fattispecie, questo primo da Enzo Raffaelli con la ricerca iconografica di Stefano Gambarotto e realizzati da Editrice Storica, editore di numerosi volumi dedicati ad avvenimenti legati alla prima e seconda Guerra Mondiale, agli Alpini e alla ritirata di Russia usciti in edicola con il nostro giornale.
Sono trascorsi 100 anni da quando, il 28 giugno 1914 a Sarajevo, lo studente Gavrilo Pricip esplose i colpi di pistola contro l’erede al trono asburgico Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia uccidendoli. Da quel giorno tutte le Cancellerie europee entrarono in fibrillazione. Si è affermato che il giovane studente bosniaco aveva «acceso la miccia», che quella era stata la «scintilla» che aveva innescato la carica che incendiò il mondo, cambiò profondamente la geografia del continente e decretò la fine dell’egemonia culturale ed economica dell’Europa. Ma per creare un incendio o innescare una carica di esplosivo bisogna che o l’uno o l'altro sia pronto altrimenti la scintilla non avrà alcun effetto e dopo qualche secondo essa stessa morirà. Infatti, il rogo che poi fu acceso era in preparazione da decenni e i portatori di legna, i «macchinatori» - come li chiamò Ludwig – furono tanti, consapevoli o meno.
L’estrema debolezza dell’impero ottomano, «il grande ammalato d’Europa», creò movimenti politici nazionalisti e attese voraci da parte di pretendenti vari nell’area nei Balcani, cerniera fra due mondi. L’altro, l'asburgico, sembrava avviato sulla medesima china. La crisi veniva da lontano, l’inizio può essere datato alla perdita della Lombardia nel 1859 e da allora la duplice monarchia cercava di espandersi a est fino a Salonicco entrando però in conflitto d’interessi con la Russia.
Si legge nei libri di Storia che nel 1914 l’Europa viveva in pace e prosperità da quarant’anni. Non è vero, o meglio non c’erano state guerre continentali, ma di locali e regionali non erano mancate, e quelle coloniali sempre presenti. La guerra italo-turca per il possesso della Libia va inquadrata nell’ottica di spartizione colonialistica comune a tutte le potenze europee. Quel conflitto voluto dall’Italia, invocante risarcimenti, e lasciato passare dai «Grandi d’Europa», funzionò da innesco per le guerre Balcaniche e la conclusione fu che l’intera regione, definita esemplarmente «la polveriera d’Europa», divenne un perenne e pericoloso focolaio insurrezionale. La Serbia, vincitrice di quelle guerre regionali diventò più grande, più forte e più irrequieta, e fu una spina nel fianco dell’impero austro-ungarico che mai fu disposto a consentire ai «regicidi di Belgrado» l’accesso all’Adriatico.
La Francia mai aveva smesso di piangere per la perdita dell’Alsazia e Lorena del 1870 e il mai sopito spirito di rivincita contro l’odiato tedesco era vivo più che mai nel popolo francese. La Germania di Guglielmo II era diventata una grande potenza industriale ossessionata dalla sindrome di accerchiamento e non vedeva l’ora di legittimarsi come prima della classe in Europa. La Russia zarista, amica e protettrice degli slavi e in perpetua ansia di espansione a ovest, dopo la sonora sconfitta subita dal Giappone nel 1905, aveva bisogno di tornare a sentirsi grande anche per sopire i malesseri interni che poi la guerra fece esplodere con violenza. Tra le grandi potenze, l’unica a non avere interesse ad entrare in un conflitto era l’Inghilterra, alle prese con i problemi mai risolti dell’Irlanda e forti tensioni sindacali, ma alla fine, per il gioco delle alleanze e per difendere i propri interessi economici e commerciali, fu anch’essa coinvolta.
Il mese di luglio del 1914 fu uno dei più drammatici del XX secolo e segnò l’inizio di una tempesta cosmica. Fu uno di quei momenti della storia universale, in cui le forze che muovono le nazioni confluiscono, e precipitino in una crisi storica, di quelle che a distanza di secoli segnano le tappe del nostro travagliato cammino. Sulle cause che scatenarono quell’assurda guerra, sono stati scritti migliaia di libri, tutti tendenti a ricostruire l’accaduto fin nei minimi dettagli. Eppure quando si ritorna, come in questa occasione, a quanto accaduto nel 1914, ci si accorge che i singoli episodi, messi in fila, non sono sufficienti a spiegare razionalmente l’enormità dei fatti.
Eric J.Hobsbawm ha sostenuto che nel 1914 nessuna delle grandi potenze europee voleva la guerra salvo una «che non poteva fare altro che puntare la sua esistenza nel gioco d’azzardo militare, perché senza di esso sembrava condannata: l’Austria-Ungheria», lacerata da quindici anni da insolubili problemi nazionali, fra i quali quelli degli slavi del sud presi nella morsa fra austriaci ed ungheresi. «Il collasso dell’impero ottomano – scrive - segnava praticamente la condanna dell’impero asburgico, a meno che questo non riuscisse a dimostrare al di là di ogni dubbio di essere ancora nei Balcani una grande potenza, di cui nessuno poteva prendersi gioco. La crisi finale del 1914 fu così totalmente inaspettata, così traumatica, e in retrospettiva così ossessionante, perché fu essenzialmente un incidente della politica austriaca, che a giudizio di Vienna imponeva di «dare una lezione alla Serbia». Christopher Clark, nel suo libro da poco uscito in Italia, I Sonnambuli, dopo aver svolto una puntigliosa analisi sugli avvenimenti che portarono alla guerra, conclude in modo diverso, scrive:
Lo scoppio della guerra del 1914 non è un episodio di un dramma d Agata Christie, alla fine del quale si scopre il colpevole con la pistola ancora fumante accanto al cadavere. In questa storia non ci sono pistole fumanti, o piuttosto, ognuno dei personaggi principali ne ha in mano una. Se lo guardiamo da questa prospettiva, lo scoppio della guerra fu una tragedia, non un delitto con un colpevole. Riconoscere ciò non significa minimizzare quelle ossessioni di stampo bellicoso e imperialistico dei politici austriaci e tedeschi che giustamente attrassero l’attenzione di Fritz Fischer e di chi ne ha condiviso l’impostazione storiografica. Ma i tedeschi non erano i soli imperialisti e non erano gli unici ad essere in preda a ossessioni paranoiche. La crisi che portò alla guerra del 1914 fu il frutto di una cultura condivisa, ma fu anche multipolare e con elementi realmente interattivi: è questo che ne fa l’evento più complesso dell’epoca contemporanea, ed è per questo che il dibattito sulle origini della prima guerra mondiale continua ancora oggi.
Oggi, dopo cento anni siamo ancora qui a chiederci per quale oscuro arcano un continente che viveva un periodo di grande progresso in tutti i campi, economico, tecnologico, scientifico, culturale, sia giunto a distruggere tutto quel bene comune. Per questo l’origine di quel conflitto continua a essere studiato come un modello di catastrofe evitabile, a patto però che se ne smontino tutti i meccanismi che lo hanno generato.
La prossima settimana, sabato 28 giugno, il secondo volume dedicata esclusivamente agli avvenimenti militari terrestri dall’inizio del conflitto fino alla fine del 1914. Il fronte occidentale, quello a noi più vicino, è stato il più importante. Il successo su quel fronte, previsto in quaranta giorni dai generali germanici, avrebbe consentito alla potente massa bellica degli Imperi centrali si portarsi contro il «Rullo compressore» russo e sconfiggerlo definitivamente. Non andò così. I francesi, pur subendo una grave perdita di territorio, riuscirono in una ritirata ben condotta, a salvare l’esercito e sfruttando al meglio un grave errore tattico dei tedeschi furono in grado di arrestare l’invasore sulla Marna. Quell’importante battaglia segnò la fine della guerra di movimento: per quattro lunghi anni fu guerra di trincea con assalti frontali di massa che causarono milioni di giovani vite spezzate.
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