«Ho denunciato la ’ndrangheta: mi ucciderà»

«Ho denunciato la ’ndrangheta infiltrata in Veneto perché credo nello Stato, ma mi sento un morto che cammina»: a dirlo è l’imprenditore 53enne di Altavilla Vicentina che ha avuto il coraggio di segnalare alle forze dell’ordine le minacce mafiose che hanno portato all’arresto, tra gli altri, dell’esattore del boss Alfonso Mannolo, ovvero Domenico Basile, 59 anni, di Gazzo.
Basile era disoccupato, ma conduceva una vita lussuosa, le passerelle a Cannes e la villa con piscina. Il fermo nei suoi confronti è scattato la scorsa settimana con l’intervento della Guardia di Finanza di Cittadella; un’operazione che ha rappresentato l’esito finale del lavoro della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, con il procuratore capo Nicola Gratteri: Basile è fra le 35 persone legate al clan di San Leonardo di Cutro, accusate di associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, estorsione, usura, porto e detenzione illegale di armi, intestazione fittizia di beni. Chi si è opposto al sistema criminale ha saputo tenere alta la testa, ma teme per la propria incolumità: «Succederà, la ’ndrangheta mi ucciderà, non certo adesso perché li hanno arrestati, ma la vendetta scatterà. Da maggio dello scorso anno la mia vita è cambiata», racconta, «sono iniziate le minacce perché un cliente di una società cui i calabresi avevano venduto la merce non aveva pagato e mi ritennero incredibilmente il responsabile di questa situazione. Ho venduto loro merce per almeno un milione e mezzo di euro e non c’erano stati problemi, mai avrei immaginato che potesse essere collegata alla criminalità organizzata».
L’atteggiamento cambiò dopo che un cliente dei calabresi, cui avevano venduto la merce comprata ad Altavilla, non pagò. «Io non avevo bisogno di prestiti, come ho letto per l’altro imprenditore padovano coinvolto nella vicenda. Fatto sta che dopo che li informai che non avrei pagato i debiti di altri, sono iniziate le minacce».
Minacce che presero la forma di molotov, di fiori lasciati fuori da casa con un biglietto di condoglianze, e a dicembre ecco l’incendio dell’auto.
Poi intervenne Basile, con la pistola. «Di armi me ne intendo, ho capito subito che era una scacciacani», continua l’imprenditore, che è consapevole del pericolo: «Lo so, con quella gente non si scherza. Ma cosa avrei dovuto fare? Piegarmi ai loro ricatti? Non se ne parla. Non mi faccio intimorire da nessuno». Tutto sembrava pulito: «Io la merce l’avevo fatturata tutta e avevo ricevuto garanzie dagli istituti di crediti, risultava essere una ditta seria. La realtà è stata diversa e da un anno non dormo».
Non si pente del suo coraggio: «La mafia va denunciata, anche se questo ti stravolge l’esistenza. Purtroppo mi sono reso conto che le infiltrazioni a Nordest sono ramificate e pericolose».
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