«Ho raccontato terra, uomini e crisi»

Un monologo che diventa affresco di un Veneto non c’è più. Ma anche l’Olocausto e la psicanalisi
Di Aldo Comello

di Aldo Comello

Da un grande olmo ai confini della proprietà del padre, luogo di vedetta e di fantasticherie, come il noce di un altro Ferdinando, Sant’Antonio, era rifugio di meditazione e di preghiera, il ragazzino Ferdinando Camon seguiva i duelli aerei tra caccia tedeschi e fortezze volanti americane, vide anche un parente, partigiano nella brigata Garibaldi, circondato da un commando di SS e ucciso in mezzo al grano, il ventre squarciato da una raffica di mitra. Martedì mattina RaiStoria ha messo in onda un monologo di Camon, inframmezzato da scelte immagini. Lo scrittore ti prende per mano e attraverso il racconto dei suoi libri ti fa attraversare mutamenti, sviluppi, tragedie, miti di oltre mezzo secolo di storia veneta. Ne “Il quinto Stato” e “La vita eterna” Camon rievoca la civiltà contadina, il mondo rurale fiabesco e affamato, spartito in due grandi poli di socializzazione di opposti colori: la parrocchia e l’osteria, la fede cattolica striata di paganesimo e il ribellismo comunista, una comunità di angeli, diavoli, uomini, animali, il rosario recitato nella stalla e il filò tra alberi e canali. Camon dice di aver inventato un nuovo linguaggio, di essere stato costretto a far scendere di qualche scalino la lingua italiana per poter innestare pezzi dialettali. Un’operazione che fece impazzire i traduttori, tedeschi, francesi e russi, quasi come nell’impresa impossibile di tradurre il Queneau di “Esercizi di stile”. Camon si definisce uno scrittore parziale, un narratore del passato, perché la classe contadina è morta, annacquata fino all’estinzione dall’imborghesimento, dall’industrializzazione, dalla cementificazione. Classe contadina, s’è detto, quinto stato, mentre non lo era, pur nelle sue peculiarità, la popolazione delle borgate descritta da Pasolini. Ma Camon è anche scrittore delle crisi. Egli apre un altro scenario nel suo dibattito con Primo Levi. Per Camon l’Olocausto non è il prodotto di un odio freddo e feroce messo in opera attraverso un’operazione ragionieristica, è anche questo, ma è pure la punta scellerata di un percorso di espulsione dell’altro, di un’intolleranza che cova sempre sotto le ceneri. Dal libro “La vita eterna” emerge la sorprendente forza della letteratura. L’opera viene assunta come prova a carico dalla Procura di Verona contro Lembke, autore di massacri efferati nelle campagne della Bassa. Ebbene, Lembke muore, fulminato da un infarto, giusto alla vigilia del processo. Alla potenza della parola scritta si affianca una tensione all’immortalità (La mia stirpe, 2011): “Fummo nei padri prima di nascere, siamo nei figli dopo la morte”, restare, quindi in vita attraverso il ricorso e la trasmissione di esperienze. Il fulcro del racconto è l'incontro del Papa con 250 artisti di tutto il mondo, nella Cappella Sistina, davanti al Giudizio Universale di Michelangelo.

La voce profonda e tranquilla di Camon spiega poi la genesi della sua opera “Occidente”: anche qui c’è il racconto di un punto di crisi della civiltà, il terrorismo. Nel libro Camon parla con un personaggio dell’eversione nera, presun. to responsabile di strage, il quale in una frase di congedo che è quasi una confessione dice che l’innocenza non consiste nel non aver compiuto malvagità ma nell’aver fatto il male senza alcun rimorso. Così l’anima umana cade nella mostruosità. “Mai visti sole e luna”, il soldato tedesco ritorna nei luoghi che l’hanno visto esecutore di assassinii e di torture con la pretesa di essere festeggiato contando sull’oblio dei perseguitati. “La nuova Europa – commenta lo scrittore – è una comunità fondata sull’oblio”. “La donna dei fili” (1986) è un romanzo sulla psicanalisi, un viaggio nella psiche femminile che inquadra i cambiamenti della personalità, delle aspirazioni e dei problemi di genere, un nuovo orizzonte rispetto a “Un altare per la madre” (1986) in cui la donna è vista come cardine della civiltà contadina. Il tempo ha cambiato l’ordine e la struttura delle cose, una trasformazione antropologica che continua, creando nuove occasioni per raccontare la realtà.

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