Il boss e quel permesso premio

Faceva la vita da papa al Due Palazzi Sigismondo Strisciuglio, 40 anni, boss della Sacra Corona Unita condannato nel 2008 a una pena destinata a concludersi il 30 marzo 2018, trasferito nel reparto di massima sicurezza della casa di reclusione padovana il 5 agosto 2011.
Un detenuto già sottoposto al regine del 41 bis (il regime duro), eppure trattato con gran riguardo dall’assistente di polizia giudiziaria Pietro Rega e dai suoi sodali finiti sotto inchiesta per corruzione e spaccio: vigilanza allentata, consegna a mano di panetti di hashish con un “logo” sempre diverso, possibilità di utilizzare cellulare, schede sim e chiavette usb dietro le sbarre. Per due volte al Due Palazzi – il 29 settembre e il 2 novembre 2011 – viene trovato in possesso di stupefacenti dopo un colloquio con i familiari. Eppure al boss non basta, tanto da tentare di usufruire di un permesso-premio. La giustificazione? Sigismondo Strisciuglio è un boss pio e vuole piangere sulla tomba della suocera. Permesso accordato tre volte dal giudice di Sorveglianza di Padova. E per due volte stoppato su ricorso della procura cittadina. Finché, il 18 luglio 2012, il tribunale di Sorveglianza di Venezia mette la parola fine alla questione e annulla definitivamente il permesso.
È il 24 ottobre 2011 quando Sigismondo Strisciuglio presenta l’istanza per ottenere la concessione del permesso premio. Permesso accordato «non avendo l’interessato potuto presenziare alle esequie della suocera... visto il lontano fine pena e osservato che l’interessato non ha mai fruito di un permesso premio». Al detenuto si concede «il permesso di recarsi a Ceglie di Campo (di Bari) presso il locale cimitero allo scopo di raccogliersi in preghiera sulla tomba della suocera Annoscia Vincenza ed eventualmente incontrare moglie e figli. Il permesso avrà durata di tre ore». Insomma viaggio accordato, a spese dello Stato, con scorta formata dalla polizia penitenziaria padovana.
Il 3 novembre la procura di Padova fa reclamo al tribunale contro il provvedimento «rilevata l’assoluta gravità dei reati commessi (associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alla detenzione e allo spaccio di ingenti quantitativi di stupefacente, omicidio volontario premeditato)...». Ma c’è dell’altro: che bisogno c’è di fare il padre di famiglia, come sostiene il difensore nella richiesta di permesso, «se il detenuto è stato condannato alla decadenza della potestà di genitore con sentenza irrevocabile del 16 ottobre 2007»?. E poi, osserva la procura, «il permesso può essere concesso eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità... Il decesso della suocera è del 23 ottobre 2011 e le esequie sono già state celebrate... Il fatto di eccezionale gravità si esaurirebbe nel raccogliersi in preghiera nel cimitero di Ceglie del Campo davanti alla tomba dell’anziana». Niente da fare. Il 28 febbraio 2012 il giudice di Sorveglianza insiste nella concessione del permesso di tre ore. Tuttavia il 7 marzo modifica il precedente provvedimento, riducendolo a un’ora e specificando che «sarà fatto divieto al detenuto di incontrare i propri familiari». Il giudice, infatti, ha appena ricevuto una nota del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) sulla caratura criminale di Strisciuglio e una richiesta del procuratore di Bari che sollecita la revoca del beneficio. Il 9 marzo la procura di Padova fa un nuovo ricorso e impugna il “terzo” permesso, forte della nota del Dap, da cui risulta che Strisciuglio era stato trovato in possesso di droga in carcere. Non solo. Il permesso potrebbe comportare «gravi rischi per il personale di polizia penitenziaria addetto alla scorta» rileva la procura, ipotizzando pericoli per l’incolumità pubblica «in relazione a un’eventuale evasione». Il 31 luglio 2012 il tribunale di Sorveglianza di Venezia accoglie in via definitiva il ricorso e boccia il “premio”. Due anni più tardi, le preoccupazioni della procura si riveleranno fondate.
Cristina Genesin
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