Il caso Abano a Strasburgo: "Sì al crocefisso a scuola"
Il governo promuove il ricorso alla "Grande camera": "E' un simbolo religioso ma anche culturale"

ROMA. E' legittima l'esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane o è in contrasto con i principi costituzionali di libertà di religione e di laicità dello Stato? Alla Corte europea per i diritti dell'uomo, che con sentenza del 3 novembre 2009 - esaminando il caso della famiglia Albertin di Abano Terme - ha detto no a quel simbolo nelle aule, l'Italia ha replicato con fermezza ed attende con fiducia la sentenza della 'Grande Chambre' (Grande Camera) di Strasburgo, attesa per il 18 marzo, che esaminera' il ricorso per l'annullamento di quella decisione.
Il caso nasce dalla denuncia di Soile Lautsi, cittadina italiana originaria della Finlandia, che nel 2002 chiese all’istituto statale “Vittorino da Feltre” di Abano Terme, dove studiavano i due figli, di togliere i crocefissi dalle aule.
Il crocifisso - sostiene l'Italia - non va assolutamente rimosso dalle aule scolastiche perché ha una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni. Il crocifisso esposto a scuola, così come in altri luoghi pubblici, secondo il governo italiano, non è solo - come hanno sottolineato più volte i giudici amministrativi - un oggetto di culto, ma un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento di valori civili - tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione - che hanno un'origine religiosa, ma che sono anche i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato.
Se questo è il punto fondamentale della posizione italiana, ribadito anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano e dal premier Silvio Berlusconi, l'Italia propone alla Grande Camera altri motivi per dire che quella sentenza della Corte europea per i diritti dell'uomo che vieta l'esposizione del Crocifisso a scuola è sbagliata e va riformata. Tre argomenti su tutti. Il primo: l'Italia dice no ad un'Europa che vuol far sbiadire i segni identificativi della propria identità, espressi anche nel segno della croce. Il secondo: il crocifisso in Italia non è il frutto di un principio confessionista, ma è stato posto nelle scuole dai liberali dell'epoca risorgimentale e della sua
unificazione, mai è stato tolto e mai è stato oggetto di contrattazione con la Chiesa, tanto forte è il suo significato religioso, culturale e popolare. Il terzo: il principio supremo di laicità dello Stato italiano propone una ''laicità positiva'' che implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni (come, ad esempio, in Francia), ma ''la serena accoglienza'' di tutte le fedi, le ideologie, i simboli.
In questo contesto - sostiene l'Italia davanti al giudice Internazionale - ignorando del tutto le trasformazioni multiculturali della società italiana, ''la sentenza ha mancato di valutare come, ormai, negli spazi pubblici, compresa la scuola, simboli e pratiche religiose si vanno diffondendo anno dopo anno, e che in Italia in particolare essi sono accettati con spirito liberale, di apertura culturale e di dialogo
interreligioso. E chiunque comprende che voler togliere il crocifisso dalle scuole proprio mentre queste si colorano dei simboli e delle pratiche di altre religioni porterebbe ad un risultato surreale, per il quale chi entra in una scuola di questo tipo (con il velo, il ramadan, la preghiera islamica, altri vestimenti particolari di religioni orientali) non capirebbe nemmeno che si trova in Italia''.
In definitiva - sostiene l'Italia - rispetto ad una società italiana sempre più multietnica, l'assenza del crocifisso dallo spazio pubblico finirebbe con l'avere un duplice disvalore: per gli italiani, che sarebbero privati di un segno identificativo
della loro identità (a prescindere dalle scelte religiose individuali); per gli stranieri, ai quali non sarebbe offerto quell'elementare messaggio di accoglienza e di non
discriminazione che è impresso nel simbolo della croce.
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