Il "duce" salvato a Palazzo Dolfin alla Stanga

PADOVA. Nostalgia di un passato che (per fortuna) non c’è più? No, soltanto memoria storica conservata grazie alle sedimentazioni degli strati di smog che l’hanno coperta per decenni, poi riportata alla luce dall’accurato e bel restauro realizzato a cura dello studio di architettura “il Quadrato” di Carlo Della Mura, infine mantenuta per volontà della Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici del Veneto. Eppure avverte un tuffo al cuore chi, sensibile alla storia, fa scorrere l’occhio anche solo per caso su quella striscia di mattoni a vista che decora Palazzo Dolfin, l’edificio inserito a cuneo in piazzale Stanga, stretto tra via Venezia e via Fistomba. «DUCE» si legge nei tipici caratteri maiuscoli (di colore rosso) comuni a tanti slogan propagandistici che tappezzavano case e mura durante il regime fascista di Benito Mussolini. E di uno slogan dell’epoca si tratta, scoperto (sulla facciata di via Fistomba, poco sopra il cornicione che sovrasta la vetrina di un negozio) con la ristrutturazione del palazzetto novecentesco, “pulito” e conservato su indicazione dell’ente di tutela come conferma il geometra Renzo Mariano Rocco dello studio “il Quadrato”: «C’è stata una richiesta specifica della Soprintendenza di mantenere quella scritta in quanto storica».
Negli anni ’90 l’immobile fu sottoposto a vincolo, puntualizza l’ingegnere Armando Stoppa capo settore dell’Edilizia privata comunale, per evitare il rischio che potesse essere demolito. «Strano che la scritta sia durata così nel tempo» commenta l’architetto Luigino Gennaro, responsabile dell’Urbanistica per il Comune di Padova, «perché i partigiani ripulirono tutto». Quasi tutto, visto che è durato nel tempo lo slogan fascista risalente a una delle visite di Benito Mussolini a Padova. Che furono più d’una come ricostruisce nell’interessante volume “Fascismo e Benito Mussolini fra noi padovani” Giulio Cesaro (www.giuliocesaro.it), storico autodidatta di Vigodarzere. Spiega Cesaro: «La prima volta Mussolini venne a Padova nel 1923 quando inaugurò la prima Fiera Campionaria nell’attuale sede in via Tommaseo, in forma privata vi giunse nel 1937 e visitò il Santo e il Pedrocchi, infine tornò il 24 settembre 1938».
In quell’occasione inaugurò la casa del fascio a Candiana, poi a Padova ebbe un bagno di folla in Prato della Valle accolto dal vescovo, si recò al Bo, al Cus (Centro universitario sportivo) e in Fiera. Forse la scritta è di quel periodo. «Molte scritte furono cancellate durante la Liberazione» puntualizza Bruno Bandoli, ex capo di gabinetto della giunta Destro, ora responsabile della comunicazione allo Iov e appassionato di storia, «Di sicuro quella passò inosservata all’epoca, ora è stata resa leggibile». Complice il degrado il cui versò per decenni palazzo Dolfin «tanto che all’epoca del sindaco Destro fummo costretti a intimare alla proprietà il ripristino della facciata». Ma è stato un bene mantenere la scritta “Duce”? O era una memoria da rimuovere? «In via Roma all’altezza del civico 113 c’è ancora l’indicazione “rifugio”: io applicherei una targhetta per preservarla, c’è tanta storia dietro a queste cose come la scritta Duce che esterna una vicinanza esecrabile a un regime ma è lo spaccato di un certo contesto storico al pari di alcune scritte sulla pavimentazione del Listòn. Anzi, mi piacerebbe che in via Sant’Agnese ci fossero ancora le vecchie segnaletiche delle case di piacere e che fossero state mantenute alcune bellissime insegna commerciali, come quella del biscottificio Colussi a Canton del Gallo».
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