Il mondo senza tempo di Riccardo III dannato per il potere

A Padova la prima nazionale del nuovo lavoro di Gassmann Trevisan rilegge Shakespeare: asciutto, cupo, trascinante
Di Nicolò Menniti-ippolito

PADOVA. Cavallo di battaglia dei grandi attori del passato e del presente, da Gassman ad Albertazzi, da Laurence Olivier ad Al Pacino, cui si deve l’ultima versione cinematografica, il “Riccardo III” di Shakespeare non è solo la tragedia del potere, non è solo una rappresentazione della violenza della Storia o una esaltazione di quella di dinastia Tudor, di cui Elisabetta I era l’ultima erede; è anche una visionaria interrogazione sulla malvagità, sul potere ambiguo della parola, sulla impossibilità di penetrare nell’animo umana.

E sono questi tre temi, soprattutto, al centro della nuova messa in scena della tragedia che ha esordito al Verdi di Padova in prima nazionale. “Riccardo III” è infatti la nuova proposta del Teatro Stabile del Veneto e del suo direttore artistico, Alessandro Gassmann, che è sia protagonista, sia regista. Gassmann mette in scena una versione molto asciutta della tragedia, che dura solo poco più di due ore, elimina una ventina di personaggi minori, ne accorpa altri, in qualche caso altera la successione delle scene.

E tuttavia il testo allestito dallo scrittore vicentino Vitaliano Trevisan per conto di Gassmann è nella sostanza fedele a quello di Shakespeare, così come non alterano e non disturbano gli anacronismi delle scene e dei costumi, delle musiche. Questo perché il Riccardo III di Alessandro Gassman si svolge non in uno spazio storico, ma in un mondo chiuso, autosufficiente, senza identità temporale, citazione della visionarietà di Tim Burton, ma di fatto creazione autonoma di Gassmann, dello scenografo, del costumista.

Quindi sì, la storia è quella della Guerra delle due Rose, degli York e dei Lancaster, Buckingham e di Lord Hastings, ma è poi una storia di potere assoluto, di voglia di manipolare la realtà e le persone, di violenza ossessiva ma non gratuita, e quindi in qualche modo vicenda esemplare, ripetibile all’infinito.

Gassmann non privilegia letture psicologiche, come pure spesso è avvenuto. Il suo Riccardo III è si deforme, anzi è una scomposta e altissima marionetta animata dal desiderio di potere, ma questa diversità non è la causa del suo desiderio, semmai è il simbolo. Ed ancora Riccardo III è centrale, ma questa versione è molto più corale di altre, per esempio quella di Franco Branciaroli, che la ha preceduta di qualche anno. Ed ha anche il coraggio a non puntare su alcuni momenti forti come il monologo iniziale che viene spostato ed in qualche modo ridimensionato.

La cupa messa in scena è dunque soprattutto funzionale al racconto vero e proprio, alla parabola della violenza e del potere che diventano significato di per sé, senza bisogno di ulteriori complessità. In qualche modo una storia semplice, ma inesplicabile nei suoi eccessi, che punta a catturare lo spettatore e portarlo di un fiato fino alla fine lasciando volutamente inevase le domande che Shakespeare getta sul tappeto.

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